mercoledì 29 gennaio 2014

IL LINGUAGGIO PENSA

In base alla mia esperienza personale e di coach, quello che determina gli stati mentali, incluse tutte le varie bizzarie comportamentali, è esclusivamente il linguaggio... La mia posizione è molto vicina alle intuizioni di Lacan. Il punto è questo: come pensiamo? Perchè una cosa occorre capirla, e cioè che i "disturbi" ( io li chiamo comportamenti) della mente sono originati dal pensiero. Ora se il pensiero è determinato dalle sostanze psicoattive del cervello ( ormoni, neurotrasmettitori etc etc) allora cadiamo nella spiegazione organicistica (che io non accetto), secondo la quale un disturbo è originato dalla funzionalità abnorme del cervello in qualche sua parte che poi impatta sul comportamento. Se invece diciamo che è ciò che viene pensato quello che determina la funzionalità e la strutturazione organica del cervello ( e questo è quello che io modestamente penso) allora ci troviamo ad identificare nel pensiero la causa di tutto. Ma la domanda è: cosa è il pensiero? Come noi pensiamo? La risposta che scelgo io è che pensiamo attraverso il linguaggio e la semantica del linguaggio. Noi non potremmo dire nulla e pensare nulla senza di esso. Se ci viene detto da un medico: "lei ha una malattia incurabile" oppure "lei ha una malattia curabile", l'unica differenza tra le due cose dette è nel prefisso "in". ma ciò che può determinare nella mente della persona è enorme e devastante. Perché? Perchè noi pensiamo CON il linguaggio. Quindi se la logica ha un senso, ciò che perturba la mente è il pensiero ( non consapevole) e quindi per transitività, il linguaggio. Ora è possibile che attraverso il pensiero allegorico si "manifestino" disagi e sofferenze nel corpo che attraverso un'acuta analisi delle rimozioni e delle significanze porti a correlare il corpo alla mente, ma di base abbiamo sempre un pensiero. Esempio: ho mal di stomaco perché "non mando giù" il capo o il marito o la moglie che mi ritrovo. Ok, possibilissimo perchè per la mente subconscia c'è stretta correlanza tra il "mandar giù" allegorico del linguaggio nel senso di "sopportare" e il "mandar giù" nel senso di ingerire, così come tra il vomitare e il rifiutare...La mente fa continuamente di questi giochetti, ma il punto è che tutto questo è solo analisi. Come faccio a togliermi di dosso quel blocco allo stomaco o la sensazione di vomitare o altre centinaia di disturbi? Secondo me la risposta è nella identificazione dei pensieri che originano il tutto e nella loro eliminazione.

mercoledì 22 gennaio 2014

LA PRETESA DELLA PERFEZIONE


La maggior parte di noi pensa che nella vita occorra migliorarsi e pensa anche che per migliorare non si debba essere troppo indulgenti con se stessi, né per questioni che attengono al proprio privato, né tanto meno per il lavoro. Insomma si pensa che se si ha un po’ di carattere occorra mantenere un certo livello di comportamento, un certo status…
Se poi avviene che facciamo qualche errore, e magari a ben vedere non è stato nemmeno poi così grande, cominciamo a rimuginare e ad esser scontenti di ciò che abbiamo fatto e per estensione, ad esser scontenti di noi stessi….
Ma qual è il meccanismo che ci porta a ciò?
La più assurda delle pretese: l’essere perfetti. E sì, è proprio questo che facciamo quando ci incolpiamo per errori che abbiamo fatto: stiamo “giudicando” noi stessi per l’errore fatto. E cosa altro è questo modo di ragionare se non la convinzione/pretesa di esser perfetti?
Questo modo di “pensare” non è certo molto produttivo, anzi è un vivere decisamente di basso livello e continuare a fustigarsi per il passato non ci aiuta di certo ad essere migliori o a lavorare al meglio, anzi ci toglie energia e concentrazione.
Come fare allora per uscirne? Perdonandosi ovviamente, ma per farlo occorre giungere ad una verità scomoda per l’ego: non siamo perfetti, non siamo infallibili. Non siamo quello che pensavamo di essere.
Già però se ci mettiamo a ragionare così la nostra autostima crolla no?
E perché dobbiamo per forza avere “autostima”? Per continuare a pensare di essere perfetti? La “stima” lo dice la parola stessa, si basa su una valutazione, su un giudizio che viene formulato in base a criteri, a criteri che possono cambiare a seconda delle situazioni, e noi non saremo mai in grado di essere all’altezza di tutte le situazioni e quindi mai ne usciremo.
Diverso è se invece ci si ama a prescindere. Se ci si ama, lo si fa anche se non si è perfetti, anche se si sbaglia, e perdonarsi significa amarsi, ma anche e soprattutto ammettere i propri limiti. Se si fa questo la pace, l’equilibrio, la concentrazione, la voglia di fare, l’entusiasmo ritornano, e allora sì che possiamo migliorare.

lunedì 20 gennaio 2014

LA TEMUTA “OPINIONE ALTRUI”


Sapete quale è una delle cose che principalmente ci causa sofferenza, irritazione, aggressività, senso di inadeguatezza e che in definitiva riduce di molto la nostra capacità e la nostra sicurezza?
La tanto temuta opinione altrui.
Guai se non dovessimo incontrare il favore degli altri. Guai se gli altri non ci dovessero approvare. In poche parole l’opinione altrui è più importante della nostra.
Eh sì perché è questo che di fatto facciamo sempre quando ci preoccupiamo troppo delle opinioni altrui. Consideriamo l’opinione degli altri come più importante della nostra.
Ma da che cosa può originarsi questo tipo di comportamento?
Molto, se non del tutto può essersi originato nel periodo infantile, ad esempio attraverso modalità comportamentali delle figure genitoriali che sono fonte di potere, e/o figure assimilabili, come maestri, insegnanti, allenatori e professori; sono ad esempio le miriadi di raccomandazioni da parte dei genitori sul comportarsi bene ed essere accettati e ammirati dagli altri ecc...ecc. Per un bambino avere la loro approvazione è molto importante, anche se questo non ha più senso una volta adulti.
Già, gli “altri” ... ma gli “altri” sono un’entità alquanto indefinita che peraltro  comprende persone diverse con idee magari opposte. Per quanto ci si possa sforzare è ovvio che è impossibile piacere a tutti, come potremmo? Si dovrebbe essere tutto e il contrario di tutto ed infine, cosa succederebbe? Per piacere agli altri si finirebbe per non piacere a se stessi, che in definitiva è la persona con cui siamo più a contatto.
Nel nostro coaching quando abbiamo a che fare con questa “presenza” ingombrante, che è la paura del giudizio degli altri, cerchiamo di individuare i relativi NED che, come abbiamo già detto, hanno  quasi sempre radice nell’infanzia e nelle raccomandazioni e nelle minacce dei genitori, relative al “buono e corretto comportamento”, e li trattiamo.
Il senso di liberazione che ne risulta è sostanziale e può addirittura essere in grado di cambiare un’intera prospettiva esistenziale.

venerdì 17 gennaio 2014

ARPIONARE LA FRUSTRAZIONE

A tutti noi capita di trovarsi a vivere situazioni frustranti come ad esempio la vendita, la relazione con superiori e collaboratori o comunque dove volontà ed aspirazioni degli attori in campo sono contrapposti, riuscire a non scomporsi di fronte ad esse non è affatto semplice e per molti è quasi, o senza quasi, impossibile. 
Ma come vanno affrontate queste crisi emozionali?... Quale è il corretto approccio da tenere al loro insorgere? ... E soprattutto come vanno superate?
Non di certo ignorandole e neanche contrapponendosi, ogni tentativo di contrapporsi all’emozione negativa, non farà che permanerla nella sua attività con tutta la sua virulenza. Negare un'emozione, come un'ansia, un'irritazione, un disagio, non permetterà di superare la cosa, ma anzi la terrà attiva nei livelli subconsci, rendendo molto difficile il tanto agognato cambiamento.
Quando viviamo una situazione frustrante possono insorgere in noi delle crisi emozionali e questo succede perché entrano in gioco processi mentali e comportamentali automatici che sono stati appresi nel corso della nostra vita, e che ci fanno comportare in modo assai differente da quello che vorremmo e sapremmo fare.
Questi processi mentali sono quasi sempre subconsci, difficili da controllare e dirigere nel senso voluto...
Può accadere anche nella vita coniugale, nei rapporti familiari, con i figli, gli  amici, ecc....e l'effetto di questi condizionamenti talvolta può essere frustrante, perché dentro di noi rifiutiamo certi comportamenti ma non riusciamo a bloccarli, a cambiarli e non sappiamo il perché. Perché nonostante li rifiutiamo continuano a manifestarsi?
Nell'approccio di EDA come avrete già letto se avete dato una scorsa alla presentazione, si lavora ad un basso livello dei processi mentali, andando ad “arpionare” proprio questi processi subconsci specificamente responsabili di quei comportamenti che si desidera cambiare...e li si “destruttura” li si “disarticola" con la tecnica specifica di EDA, fino a renderli inconsistenti. L'emozione viene ripercorsa nella sua interezza fino alla sua radicale trasformazione e ciò viene fatto in poche decine di minuti, una volta individuato il nucleo emotivo disturbante che noi chiamiamo NED.
Il livello di sollievo e la percezione di cambiamento che si sperimenta dopo la corretta applicazione di EDA è davvero rimarchevole. Se il NED è stato correttamente individuato, si assiste ad un cambiamento del comportamento specifico, radicale e duraturo.

giovedì 16 gennaio 2014

LE RADICI DELL'ANSIA

Ho più volte sottolineato che attraverso la corretta individuazione del pensiero che causa la paura e il seguente trattamento dello stesso, si può uscire dalla paura stessa. Questo semplice concetto è l’architrave della metodologia EDA.

Quasi tutti quelli che hanno fatto sedute con me di EDA coaching hanno sperimentato la verità di questa affermazione. Una volta che si è correttamente individuato il pensiero che causa la paura (NED), basta trattarlo con EDA e l’emozione ad esso collegata svanisce. Questo avviene perché il metodo consente lo scaricamento dell’emozione

Detto questo occorre spostare il centro della questione, che è: perché si arriva ad avere ansia e panico?

Tutti quelli che ne soffrono, o quasi, hanno avuto un primo episodio scatenante, ed è questo che ha in se i “significati” dell’ansia. Poi ciò che viene dopo, il propagarsi delle paure ad altre apparentemente innocue situazioni, è solo PAURA DELLA PAURA, cioè una derivazione della causa primaria.

Va subito detto che EDA funziona sempre, sia per le situazioni derivate che per le originarie, ma può accadere ed accade che con EDA si risolva una situazione derivata e poi ci si ritrovi ad avere nuovi attacchi dopo un po’ di tempo. Perché?

Perché ciò che ha minato la fiducia ( la paura è SEMPRE dovuta ad una caduta di fiducia) non è stato risolto.

Esempio: avviene una forte delusione sentimentale. Dopo un po’ di tempo da questo fatto si ha un primo attacco di panico, senza alcuna apparente ragione. Dopo questo primo attacco si comincia ad avere paura che ne arrivi un altro e si comincia a stare in guardia….e si pensa continuamente…” e se mi succede al lavoro?” …..” e se mi viene quando sono alla guida, o sull’autobus?...” e se mi prende quando non posso uscire dalla stanza?”

Tutte queste domande "ansiogene” sono paure derivate, che creano la “psicologia dell’ansia” che poi rende la vita impossibile.

Ognuna di queste domande è un NED puro e semplice. Ognuna di queste paure risponde benissimo alla tecnica EDA. Ma il punto che permane è la causa scatenante il PRIMO attacco di panico.

Nel caso esemplificato qui, potrebbe essere una cosa del tipo “ rimarrò sempre solo/a” che è un NED formatosi in seguito alla delusione amorosa. Ecco che quindi questa paura della solitudine va risolta attraverso la ripetizione del NED preciso che la esprime. Quando questo avverrà allora tutta la mente che si è messa in allarme per questo evento, smetterà di farlo e la persona non continuerà ad essere “spaventata” da questo concetto: “rimarrò sempre solo/a”.

Quando questo avviene anche tutte le paure derivate cesseranno perché appunto figlie di questa paura primaria.

Altro e più profondo e filosofico discorso è perché eventi, come nell’esempio fatto una delusione amorosa, oppure lutti o malattie  o delusioni professionali, possano in alcune persone, determinare tali conseguenze.

E qui si entra in un più ampio contesto che è quello delle aspettative che ognuno di noi ha in relazione all’esistenza.

La sofferenza è data da ciò che non siamo capaci di accettare.

lunedì 13 gennaio 2014

LA FUGA IN AVANTI DELLA MENTE

L'ansia è sempre un vuoto che si genera tra il modo in cui le cose sono e il modo in cui pensiamo che dovrebbero essere; è qualcosa che si colloca tra il reale e l'irreale.
(Charlotte Joko Beck)


Facile convicersene. Basta pensare ad una remota ipotesi di licenziamento.
Prima di ricevere una simile notizia l’ansia non c’è. Subito dopo averla avuta, l’an
sia diventa feroce. La mente comincia ad elaborare una serie di scenari negativi che hanno a che fare con la caduta delle proprie condizioni di vita…..perdita di denaro, di possibilità di mantenere la famiglia, di far studiare i figli se ce ne sono, di poter pagare il mutuo….perfino di potersi comprare da mangiare.
 

Cosa succede nella mente? Si insinua la paura che è rappresentata dal RISCHIO che si potrebbe correre.
Si vorrebbe che non ci fosse questo rischio ed invece il rischio c’è. La realtà è che il rischio c’è. Il desiderio “irreale” è che il rischio non ci sia. Questo è lo “spazio” indicato dall’autrice. Si tratta di un rifiuto tra ciò che SI PENSA sia la realtà e quello che si VORREBBE fosse. Tutto questo SENZA che l’evento del licenziamento sia avvenuto e senza che esso sia certo. Ma la mente è corsa al futuro, al futuro rischioso. E la sofferenza è già arrivata, è già pesantemente presente.

Se invece si permanesse nella fiducia e nel presente, dove il lavoro c’è ancora, si rimarrebbe calmi e l’ansia non comparirebbe. E si potrebbe pensare con calma a come muoversi QUI ED ORA per evitare il rischio futuro. Mantenere fiducia aumenta enormemente la possibilità di fronteggiare i problemi.
Immaginare scenari negativi scatena la paura e la vita precipita. Subito.

giovedì 2 gennaio 2014

I PENSIERI INFIDI

I pensieri che facciamo, consci od inconsci che siano, sono gli unici responsabili dei nostri stati emotivi.
Tutti noi abbiamo sperimentato nella nostra vita situazioni che ci facevano sentire male o malissimo e che per analogia ci portavano a pensieri ancora peggiori, lugubri e deprimenti, poi magari avveniva che qualcuno ci chiamava, ci parlava, ci diceva qualcosa che poteva essere incoraggiante o comprensivo, qualcosa che ci faceva in un attimo vedere una prospettiva differente sulle cose e come per magia lo stato precedente scompariva e la vita riprendeva.

Cosa avviene in questi casi? La maggior parete delle persone ad una domanda così risponde dicendo: “mi sono sentito meno solo/a” , “mi ha fatto capire che finché c’è vita c’è speranza”, “ ho capito che non c’era ragione per reagire così”, “mi ha fatto vedere una cosa che non vedevo”. Sono queste le considerazione che si fanno normalmente. Ed hanno tutte un fondo di verità.

Ma la domanda vera è un’altra. Cosa è accaduto nella nostra mente?

Cosa significa ad esempio “mi ha fatto capire che finché c’è vita c’è speranza”? Quello che le parole di un amico o un familiare ci dicono fanno una sola cosa: ci fanno cambiare i PENSIERI che in QUEL MOMENTO stiamo facendo. Ci SPOSTANO su altri pensieri. TUTTO QUI.
Ora se rispondiamo: “mi ha fatto capire che finché c’è vita c’è speranza”, significa che prima di questo intervento dall’esterno noi stavamo pensando che “non c’era alcuna via d’uscita” oppure “non potrò mai uscirne” ( qualsiasi cosa sia). Ci siamo cioè CONVINTI di un’idea di impossibilità, relativamente ad una condizione che PENSIAMO di avere. Abbiamo cioè una convinzione di impossibilità. Ma QUESTO è pur sempre SOLO un pensiero.
La stessa medesima cosa avviene per gli altri esempi fatti. Ad esempio se rispondiamo “mi sono sentito meno solo/a”, significa che prima eravamo dominati da un’idea che ci diceva che eravamo soli e a QUESTA idea davamo una connotazione negativa ( non per tutti essere soli è negativo). Il fatto che qualcuno ci abbia ascoltato o consolato ha CAMBIATO il nostro pensiero
del momento, portandoci fuori dallo stato d’animo negativo precedente.

Quello che però purtroppo poi spesso avviene è che questi “stimoli” a modificare il nostro modo di vedere le cose dura poco perché molto facilmente e rapidamente torniamo ai vecchi modi di pensare…..e questo causa poi spesso ancora maggior frustrazione.
Ma ciò che accade è che semplicemente abbiamo certe convinzioni su quello che è la nostra vita e ci torniamo in modo ostinato ed autolesionistico. Ma tutto questo dipende SOLO da ciò che pensiamo e da COME lo pensiamo.

Ci sono tanti pensieri che ci passano per la mente in ogni momento e a cui nemmeno facciamo caso ma che sono invece in gran parte responsabili dei nostri stati d’animo.

Idee come “non va bene niente” “ non sono contento/a” “ sono sfortunato/a” “avrei bisogno di…” “ sarei felice se…” “sono solo/a” “non ce la posso fare” “ non sono all’altezza” “ho sbagliato tutto” “sto male” …….sono tutti pensieri che APPARENTEMENTE sono considerazioni oggettive sul proprio stato ma in realtà contengono in sé il veleno della negatività, sono dei veri e propri “farmaci depressivi” ad effetto immediato e persistente.

Allo stesso modo anche per chi soffre di ansia, pensare “soffro di ansia” “ho il panico” “ ho paura” “non posso farcela” e così via, sono dei veri farmaci ansiogeni, essi stessi generano l’ansia.

Stiamo quindi attenti a ciò che pensiamo e soprattutto a QUANTO ci crediamo.
Smantellare gli errati modi di pensare è la via per uscirne.