giovedì 31 ottobre 2013

MAPPARE LE PROPRIE AREE DI MIGLIORAMENTO

Tutti noi sappiamo di avere delle capacità e risorse a cui sappiamo accedere con grande facilità ed altre che invece fatichiamo ad acquisire e a padroneggiare. Sono di differenti aree ed argomenti. Vorremmo poter esser in grado di fare tutto ed affrontare tutto, ma per qualche ragione recondita o anche conosciuta, non riusciamo a superare alcune barriere che ci si presentano sempre davanti.
Al fine di poter individuare quelle che vengono dai formatori definire “aree di miglioramento” vengono normalmente implementati test allo scopo.
Qui non vogliamo fare l’ennesimo test, ma proporre una mappa che consenta ad ognuno di farsi da sé un quadro di quelle che probabilmente sono aree in cui persistono dei blocchi che non consentono di dare il meglio di sé, come si vorrebbe.
Cerchiamo prima di definire alcune macro aree per delimitare gli ambiti.



CATEGORIA   FACILE  |  ABBASTANZA FACILE |   UN PO’ DIFFICILE |  MOLTO DIFFICILE
          Livello 1                    Livello 2                    Livello 3              Livello 4


Area del fare/ attività
Inventare una cosa /avere idee nuove
Iniziare una cosa/progetto/attività
Proseguire una cosa/progetto/attività
Terminare una cosa/progetto/attività
Abbandonare un progetto/attività

Area del comunicare / rapporti interpersonali
Parlare e comunicare con gli altri
Confrontarsi con idee differenti
Promuovere il proprio punto di vista / propria opinione
Accettare idee differenti da integrare
Cambiare la propria idea alla luce di altre opinioni

Area della collaborazione
Condividere le informazioni con altri
Comunicare i propri errori
Delegare compiti ad altri
Riconoscere le attività ed i risultati altrui

Area della concentrazione
Concentrarsi sulla propria attività per oltre  due ore consecutive sul lavoro
Distrarsi frequentemente da ciòche si sta facendo sul lavoro
Concentrarsi sulla propria attività per oltre  due ore consecutive sui propri interessi
Distrarsi frequentemente da ciò che si sta facendo sui propri interessi

Area della mobilità
Lavorare fuori dall’ufficio/ girare in auto/mezzi pubblici e propri/viaggiare
Lavorare in ufficio/stabilimento/posto da lavoro/postazione
Uscire di casa/girare in auto/mezzi pubblici e propri/viaggiare
Restare in casa /giardino/cantina/box a fare i miei lavori

Area dell’esposizione personale
Essere il protagonista di iniziative sul lavoro
Essere il protagonista di iniziative con gli amici
Organizzare riunioni sul lavoro/gestire il gruppo
Organizzare riunioni nel tempo libero gestire  gruppi (comitive, volontariato,circoli, squadre, hobbisti)
Aderire alle proposte che vengono fatte sul lavoro
Aderire alle proposte che vengono fatte dagli amici nel tempo libero
Rifiutare le proposte che vengono fatte sul lavoro
Rifiutare le proposte che vengono fatte dagli amici

Queste aree sono indicative delle propensioni/predisposizioni e delle difficoltà/blocchi che una persona può avere nell’affrontare la vita di tutti i giorni nel lavoro o nella vita sociale privata.
A questa mappatura possono essere aggiunte aree più specifiche e personali, come l’atteggiamento di fronte alla vita coniugale e/o familiare o con relazione alle questioni di salute, di denaro ecc.
In quest’ambito e per le finalità del coaching, le  aree indicate in tabella sono già sufficientemente indicative per potersi fare da soli una mappatura dei propri atteggiamenti.
Dal punto di valutazione dell’EDA personal coaching, tutti gli items in cui la risposta è nelle ultime due colonne (un po’ difficile e molto difficile) sono situazioni che indicano la presenza di almeno un NED (Nucleo Emotivo Disturbante) nella struttura mentale della persona.
Per esempio una condizione di livello 4 nell’ultimo item (rifiutare le proposte che vengono fatte dagli amici) indica un NED marcato nella capacità di dire di no, che può essere espresso dal pensiero “non devo deluderli” oppure “non voglio rimanere solo/a” , “non dire di no” o altro ancora.
La tecnica EDA andrà alla ricerca  dell’esatta struttura di pensiero che da’ il comando inerente e lo tratterà con la tecnica standard di deprogrammazione emotiva, portando ad un significativo risultato nel giro di pochi minuti.
Se vorrete provare a verificare come sono i vostri atteggiamenti a fronte delle situazioni prospettate, avrete delle indicazioni su quali sono le aree con i NED più marcati su cui occorrerebbe lavorare.

mercoledì 30 ottobre 2013

IL LAVORÌO DELLA MENTE E IL DUALISMO


Spesso si è sentito parlare della dualità e di come questa non sia cosa “buona”. Tutto l’insegnamento spirituale orientale ed anche occidentale mette in guardia dal dualismo.
Ma cosa si intende per dualismo? Il dualismo, o meglio il pensare in modo dualistico consiste sostanzialmente nel creare categorie, classificazioni su tutto quanto possa esser percepito e pensato. Questa operazione viene fatta dalla mente per poter “pensare” e per poter comunicare attraverso il linguaggio.
Il linguaggio è infatti necessario per poterci intendere sulle cose. Se chiediamo ad un’altra persona: “passami un bicchiere d’acqua”, occorre necessariamente condividere il concetto di bicchiere, il significato sottinteso a “passare” e il concetto “d’acqua”. Questo vale per tutto ciò che comunichiamo.
Fino a qui si potrebbe dire: bene, e cosa c’è in questo che non va?
Il punto è comprendere ciò che ostacola o favorisce il senso di benessere. Ebbene accade che quanto più la mente è “impegnata” tanto meno si apprezzano le esperienze.
Per fare un altro esempio, se quando ci mettiamo a tavola invece di rilassarci e mangiare senza “pensare troppo”, continuiamo a rimuginare sui problemi che ci stanno assillando, è garantito che non ci accorgeremo di quello che stiamo mangiando, percepiremo il gusto in modo distratto ed approssimativo e non godremo appieno della qualità di ciò che stiamo gustando. Questo avviene anche quando ascoltiamo musica, o vediamo la televisione o leggiamo un libro o semplicemente stiamo passeggiando per un parco, presi da altri pensieri. Quello che viene fortemente limitato dal nostro lavorìo mentale è la capacità di godere di quello che stiamo sperimentando. Perché avviene?
Perché stiamo intensamente lavorando con ALTRI elementi invece che essere attenti a quelli che ci sono. Il dualismo è dato dalla nostra scissione interiore: viviamo contemporaneamente su mondi differenti.
Ma la medesima cosa avviene se ad esempio guardiamo un oggetto e invece di osservarlo e basta, lo confrontiamo con il nostro “concetto” dell’oggetto: non riusciremo ad osservarlo come esso è. Ogni qualvolta facciamo considerazioni su ciò che osserviamo invece di osservare, ne perdiamo una parte.
Poniamo di osservare un’automobile nuova. Potremmo osservarla senza pensare se ci piace o no, rimanendo puri osservatori, girando lentamente intorno alla vettura, aprendola per vedere come è stata fatta e così via. Ma se cominciamo ad osservare le varie parti ed a confrontarle con il nostro giudizio estetico, la nostra idea di funzionalità, le nostre concezioni di come deve essere un’auto, avremo la mente occupata ad operare su due immagini (dualismo), quella reale e quella mentale……e così facendo ci perderemo moltissimo piacere consistente nell’ “assorbire” lo spirito con cui la vettura è stata realizzata…la nostra esperienza sarà molto più povera e fredda e alla fine insoddisfacente a causa delle barriere poste dal nostro “valutare”.
Quindi il “pensare” mentre si fa, si percepisce, si mangia, si ascolta, si odora, si vede, riduce di molto la qualità delle percezioni.
Ancor peggio accade se di fronte ad un’esperienza, nella nostra mente si forma un giudizio etico, se cioè ciò che stiamo sperimentando viene da noi classificato come buono o cattivo, giusto o sbagliato. Questo fa sì che tutta l’esperienza venga modificata alterata e perfino stravolta.
Se veniamo invitati ad una festa, ad esempio, e ci facciamo l’idea che essa non ci piacerà, che ci saranno persone che non amiamo e non vogliamo vedere, e così via, quella esperienza non solo non ci darà alcun piacere né felicità ma anzi c’è perfino la possibilità che provochi in noi anche dei traumi, delle sofferenze che potrebbero poi permanere in noi per molto tempo.
Ecco che quindi risulta in tutta la sua evidenza la ragione della critica al dualismo: esiste un mondo che è quello che è, e poi esiste un mondo mentale, che è una rappresentazione personale e distorta di ciò che il mondo è, dove esistono le idee di come le cose dovrebbero essere, vorremmo che fossero e così via.
Tutto ciò che nel reale si distanzierà da ciò che noi vogliamo ci porterà verso l’insoddisfazione. Tutto ciò che nel reale si avvicinerà a ciò che noi vogliamo, creerà attaccamento e dipendenza.
Se invece il reale viene sperimentato per quello che da’ e che è senza desiderarlo nè respingerlo, senza frapporvi la mente, saremo in grado di sentirlo e viverlo con pienezza.

martedì 29 ottobre 2013

IL PENSIERO BARRIERA



Noi sempre pensiamo che pensare sia la più specifica e nobile delle caratteristiche umane. “cogito ergo sum” penso, dunque sono pensava Cartesio…
E così noi su questo concetto, che cioè siamo “di più” perché pensiamo, abbiamo costruito la nostra storia e la nostra civiltà.
E così, come sempre succede quando una cosa diventa consolidata, condivisa, popolare, il nostro pensare è diventato una cosa “indiscutibile”. Ma, e questo va ben compreso, la nostra millenaria conoscenza, costruita nei secoli, mattone dopo mattone nella scienza, nella filosofia, nella politica e nella sociologia, non ci ha portato ad una cosa semplice semplice: la pace e la felicità. Abbiamo auto, case tecnologiche, computers, smartphones, aerei supersonici, esplorazione spaziale, medicina avanzata, chirurgia estetica, robot….ma non abbiamo la felicità.
Perché? Perché tutto il nostro pensare non ha saputo portare la felicità nella vita delle persone?
Semplice. Perché non è il pensare che lo porta.
Ma, oltre a quest’ovvietà, non riusciamo ad andare. Non riusciamo a capire come mai con tutta la nostra intelligenza che è davvero tanta, con tutta la nostra esperienza, che è ormai millenaria, non riusciamo ad uscire dalla sofferenza e dal dolore interiore.
Il punto è che abbiamo eletto, ben prima di Cartesio, il pensiero a nostro vero Dio. Noi concepiamo il pensiero come la cosa più elevata e somma che possediamo e di cui disponiamo. Il trono del pensiero non si tocca, non si discute.
Ma forse dobbiamo cominciare a mettere in discussione questa “verità”.
Quando pensiamo, cosa stiamo facendo in effetti? Stiamo seguendo una serie di frasi che si susseguono una dopo l’altra ed ognuna di queste frasi ha un suo significato, un suo “sema”, cioè si dice che hanno una semantica. Bene. Noi seguiamo una serie di pensieri che hanno una semantica, cioè un significato.
Ma, poiché noi “pensiamo” attraverso il linguaggio, noi consideriamo “vere” tutte le “parole” che pensiamo.
E accade così che se pensiamo che una cosa non va bene, noi “crediamo” che quella cosa non va bene. Non facciamo differenza tra ciò che processiamo con la mente e la verità di quello che processiamo.
Allo stesso modo se processiamo un pensiero che dice che invece quell’altra cosa “va bene” noi la prendiamo per vera e crederemo che quella cosa “va bene”.
In parole semplici: noi crediamo ciecamente a ciò che la mente ci propone.
Accade quindi che se pensiamo che una cosa “va bene”, siamo contenti, se invece pensiamo che una cosa “non va bene” siamo tristi. Ma in effetti siamo noi a decidere cosa mettere nel “va bene” e nel “non va bene”. Ma notate bene che noi potremmo anche decidere che se avviene una cosa potremmo scegliere che indipendentemente da cosa avviene, potremmo metterla nella casella del “va bene” sempre e comunque. Se così facessimo non avremmo la categoria in cui mettere il “non va bene” e saremmo sempre contenti. Così facendo rinunceremmo ad un bel po’ del nostro “pensare”, semplificando di molto il nostro “ragionare”.
Ma potremmo fare anche di più.
Potremmo decidere che possiamo essere felici a prescindere da cosa ci potrà accadere, non posizionando il nostro concetto di felicità dentro alcuna condizione posta a priori.


lunedì 28 ottobre 2013

OCCORRE AVERE CERTEZZE O DUBBI?


Un ambito della speculazione filosofica e psicologica piuttosto dibattuto è: occorre avere certezze o dubbi? Cosa è più utile? Cosa serve?
E’ intuitivo considerare che la certezza aiuta a decidere e a fare, e soprattutto riduce l’ansia, la paura di sbagliare.
D’altra parte il dubbio è il lievito della conoscenza. Nulla sarebbe stato inventato né concepito senza una profonda riflessione. E riflettere è verbo che ha in se la radice del verbo flettere con il rafforzativo “ri”, che indica il ripiegarsi su di sé…che è come dire smettere di agire, fermarsi a pensare, mettere in discussione ciò che si è pensato e fatto fino ad allora.
Ogni rivoluzione scientifica e culturale è passata attraverso la messa in dubbio delle certezze precedenti. Tutti gli innovatori hanno messo in dubbio la validità di ciò che c’era prima. Buddha, Gesù, Galileo, Darwin, Newton, i Curie, Tesla, Einstein e tutti gli innovatori in genere lo hanno fatto.
Quindi cosa occorre fare? Quale atteggiamento si dovrebbe avere?
Tutto nella vita dimostra che il cambiamento è necessario, l’osservazione della vita a tutti i livelli evidenzia che cambiare paradigma e comportamento è la chiave per andare avanti, sopravvivere e prosperare.
Il problema non è quindi se scegliere la certezza o il dubbio, ma in realtà la questione è: come devo rapportarmi alla situazione di dubbio, di cambiamento?
Il vero ostacolo al mettere in discussione le proprie certezze risiede nella REAZIONE che si ha di fronte a ciò. Di fronte ad un cambiamento si può averne paura, rifiutarlo, evitarlo, ignorarlo, contrastarlo, o…. accettarlo. Tutte le reazioni eccetto l’ultima, comportano dolore, perché si tratta di mettersi in dis-tonia con ciò che c’è.
Se invece di fronte all’incertezza che è rappresentata da un cambiamento, incertezza dovuta al fatto che le vecchie risposte e comportamenti non sono più adeguati, non sono più giusti, ci si pone con animo positivo ad accettare i nuovi parametri, ecco che il dolore si trasforma in gioia, entusiasmo, allegria, passione.
Ecco che quindi la capacità di ridefinire, cambiare, perfino cancellare le proprie convinzioni acquisite, è condizione fondamentale per il ben-essere.
Non solo. La capacità di modificare le proprie convinzioni, valori e fedi, stimola l’intelligenza, rende elastica la mente e soprattutto, mantiene lo spirito libero.
Ma come si accolgono idee nuove, nuovi paradigmi, nuovi schemi, nuovi valori, occorre anche mantenere il dubbio che questi nuovi valori possano essere transitori, temporanei ed anche erronei. Se non lo facessimo ritorneremmo nella situazione di rigidità, di immodificabilità precedente.
Ma allora cosa resta di certo?
La nostra capacità di continuare ad esistere ed Essere, al di là delle nostre “convinzioni”. Noi Siamo (e permaniamo) al di là di ciò che pensiamo.


domenica 27 ottobre 2013

ESSERE IN ARMONIA CON SE STESSI





Il processo di meditazione ha uno scopo: acquisire maggiore libertà interiore. Se non ottiene questo non serve a granché.
Ma come si può capire se la meditazione serve a questo scopo? E’ abbastanza facile che mettendosi in una situazione tranquilla, isolati dagli stimoli e ci si mette a concentrarsi sul respiro per trovare la calma, essa si trova. Ci sono pochi dubbi al riguardo. Qualcuno potrà avere qualche difficoltà iniziale ma una volta presa confidenza il controllo del respiro riesce ad indurre calma e concentrazione.
Ma cosa accade quando poi si esce dalla meditazione e si ritorna nel mondo? Nell’ambiente di lavoro, nel traffico, nelle relazioni affettive e familiari?
Si riesce a reagire in modo diverso? A mantenere calma e serenità? A non farsi coinvolgere dallo stress?
Se ci si limita al praticare la meditazione come momento di relax, isolato dal resto della vita, non ci sarà alcuna differenza con il passare un’ora in sauna o in palestra o nel fare una partita a tennis.
Per ottenere davvero dei cambiamenti personali ed esistenziali, occorre che la mente sia resa sgombra e lucida anche nelle situazioni normali.
Ma per ottenere questo è necessario un cambiamento della mente incredibilmente più radicale. E’ necessario che i pensieri subconsci, le reazioni automatiche, le abitudini negative, le ansie e le paure, vengano non solo contenutì e controllatì, ma proprio cancellati dai processi mentali, così che lo stato di calma, di pace e di armonia con se stessi non venga turbato dalle migliaia di stimoli esterni.
Ma per ottenere questo non è sufficiente il controllo del respiro, ma occorre sradicare i pensieri, le forze che fanno invece agitare, impaurire, arrabbiare e così via.
Tali pensieri navigano costantemente sotto la coscienza ed assumono precise forme mentali, precisi pensieri, con precise strutture verbali e correlate emozioni.
Tali forze mentali devono essere identificate e poi trattate fino alla loro cancellazione. Una volta ottenuto questo risultato, il corrispettivo pensiero non opererà più sotto la coscienza obbligando a comportamenti indesiderati, perché esso è stato emozionalmente deprogrammato.

venerdì 25 ottobre 2013

DOVE METTIAMO LA BANDIERINA DELLA FELICITA'

Esiste e non esiste la felicità? Messa così è una questione un po’ difficile da definire. Una cosa possiamo dirla comunque: ci sono persone più felici ed altre meno. Ci sono persone che alla mattina si alzano contente ed allegre, ed altre che invece vivono la giornata come un peso o peggio un incubo.
La cosa rimarchevole è però che le condizioni “reali” di queste persone sono differenti. Ci sono persone che magari hanno casa, reddito, salute, affetti anche, ma sono profondamente infelici, ed altre che mancano di tutte queste cose o almeno di parte di esse, ma sono molto contente e vitali.
Non sono quindi le situazioni oggettive che determinano lo stato d’animo. E’ qualcos’altro. Cosa? “Non abbiamo bisogno di porre di fronte a noi alcun oggetto da raggiungere, credendo che finché non lo raggiungiamo, non saremo felici.”, dice Thich Nhat Hanh.
Cosa è l’infelicità?
E’ non avere quello che si vuole, oppure, avere per forza quello che non si vuole. Queste sono le due condizioni dell’infelicità.
La via per uscirne è duplice. O si cambia la situazione che genera l’insoddisfazione e l’infelicità, arrivando ad una nuova situazione che ci piace, o si smette di desiderare che le cose cambino e si comincia ad essere contenti a prescindere di quale sia la situazione. Semplice no?
No, non è semplice.
Non è semplice perché le cose che desideriamo e quelle che non desideriamo sono costantemente “pensate” ad un livello di pensiero su cui non abbiamo controllo. Questa è la ragione di tutte le difficoltà.
Yoga, meditazione, psicoanalisi, ipnosi, psicoterapia, vacanze, massaggi, svago, cinema, televisione, cibo, sesso, soldi, amori, passioni, chiacchiere, pettegolezzi, politica, beghe familiari….tutto ma proprio tutto ha a che fare con la nostra ricerca di uscire dalla pressione dei pensieri subconsci che ci disturbano….siamo tutti alla ricerca di un’armonia che non riusciamo a trovare ma che ha sede solo dentro di noi, dentro i nostri processi mentali.
Non è un caso che quando una persona riesce a raggiungere un più alto livello di equilibrio comincia ad avere meno bisogno di tutte queste cose….più stabile diventa e meno cose gli necessitano per stare bene.
La via per uscirne è duplice, certo, ma se vogliamo cambiare tutto quello che non va bene quante cose dobbiamo cambiare?
Di quante cose siamo insoddisfatti? Proviamo a farne una lista e ci stupiremmo di quanto è lunga……Dove la mettiamo la bandierina della felicità? Dopo la salute? Dopo l’amore? Dopo la ricchezza? Dopo il lavoro? Dopo la giustizia nel mondo?
Ci rendiamo conto che così non saremo felici mai?
Mettiamola prima la bandierina .... subito, e lavoriamo poi per poterla spostare...ma intanto mettiamola prima.
Ma per poterlo fare occorre cominciare a guardare dentro di noi e non più fuori.


mercoledì 23 ottobre 2013

METTERSI IN DISCUSSIONE

Bisogna saper mettere i propri ragionamenti e le proprie convinzioni in discussione, soprattutto quando si sta male. Questo perchè evidentemente il modo di ragionare che si sta usando non va bene.....e sarebbe auspicabile capire il perchè. Per dare un esempio concreto, ogni persona perseguitata da pensieri deprimenti o negativi, dovrebbe arrivare a rendersi conto che nella sua convinzione di "non poterne uscire" oppure di "non c'è più niente da fare" c'è la causa stessa del problema. Se per assurdo mi ipnotizzassero e sotto ipnosi mi dicessero che "la tua vita è finita" e che "non guarirai mai più", io al risveglio mi troverei con alta probabilità depresso, perchè questi "pensieri" opererebbero costantemente sotto la mia coscienza. Eppure "fattualmente" nella mia vita non sarebbe cambiato nulla. Bisogna diffidare delle conclusioni a cui la mente sembra giungere. La mente, mente.

lunedì 21 ottobre 2013

LA FRETTA E' NEMICA DELLA VELOCITA'

Cosa è la fretta? Lo sappiamo tutti. E’ quella sensazione di urgenza che preme sulla nostra mente che ci dice che siamo in ritardo, che dobbiamo sbrigarci, che non possiamo perdere tempo.
Il problema è che poi invece “questo” modo di pensare ci fa davvero perdere tempo! Perché?
Perché quando cominciamo ad avere questi pensieri, queste “preoccupazioni” cominciamo a rallentare. Oh, certo, non lo facciamo apposta…ma il punto è che ci prende l’ansia e cominciamo a perdere in efficienza e velocità. Più vogliamo fare in fretta e meno ci riusciamo, cronologicamente parlando.
Provate a digitare su una tastiera presi dalla fretta….a meno che non siate un dattilografo provetto, più accelererete più errori farete…..perché il comando che vi sta spingendo ad aumentare il ritmo vi fa perdere la fluidità dell’azione. Provate la stessa cosa con qualsiasi lavoro….e vedrete i pasticci che si combinano.
Cosa accade nella mente? Accade che mentre state facendo quella cosa che state facendo, e la state facendo bene, vi viene in mente: va’ più in fretta! Sbrigati! Dai, accelera!
E questo cosa fa? Introduce un nuovo elemento nella mente, che ora dispone di meno “spazio” mentale per fare ciò che stava facendo….il comando che avete introdotto, invece di aiutarvi vi danneggia.
Questa è la ragione per cui non serve il cosiddetto “pensiero positivo”…ma serve il “non” pensiero….La mente funziona come una ruota….meno cose ci sono….meglio rotola.
Ecco quindi spiegato il monito di Gesù: “smettiamola di pre-occuparci di ciò che non serve al momento pensare.”
Il nostro tempo verrà ben impiegato se non disturberemo la nostra concentrazione con “altro” che non serve….Se pensiamo ad essere in ritardo….stiamo pensando ad altro, se pensiamo che dobbiamo sbrigarci, pensiamo ad altro……
La fretta è nemica della velocità.


GUARIRE - LA DESENSIBILIZZAZIONE

Parliamo un po’ della via alla guarigione sotto il profilo mentale, mettendo tra parentesi l’uso dei farmaci.
Cosa è l’ansia? L’ansia è paura. E questo lo sappiamo tutti, credo.
Da cosa è determinata la pau
ra? Dall’idea che una certa situazione, un evento che può o sta per verificarsi, sia molto pericoloso per noi.
Cosa si intende per pericoloso? E’ considerata pericoloso qualsiasi evento che ci metta in una situazione peggiore di quella che abbiamo al momento. Può essere ammalarsi, ferirsi, perdere una sicurezza affettiva, un rapporto, una cosa che ci da’ conforto (casa, denaro, auto, cibo,aspetto fisico….). Se si va alla radice dell’ansia, la perdita di questi fattori significa una cosa di fondo: paura della morte.
In buona sostanza l’ansia è paura di morte, alla sua base.
La vita che si evoluta nei miliardi di anni, ha messo a punto alcune strategie di base per fronteggiare il pericolo di morte. Anzi, di fondo tutta la vita naturale ha questo obiettivo: evitare la morte. Dalla nascita di molta prole per salvaguardare la specie, alla ricerca di riparo dai predatori, alle strategie difensive e di attacco, tutto indica chela natura si preoccupa sommamente di sopravvivere, almeno come specie singola.
Per potere fare questo ha messo a punto alcuni meccanismi di reazione al pericolo che consistono nel produrre sostanze che diano più stimolo al cuore e forza ai muscoli per poter più rapidamente fuggire o combattere. Per potere portare più zuccheri ed ossigeno ai muscoli per le reazioni biochimiche che producono energia muscolare, il cuore spinge al massimo il battito e il cervello produce adrenalina, il tutto per poter correre, saltare, fuggire, o combattere.
I neurologi e i neuro chirurghi hanno identificato nell’amigdala la parte di cervello che attiva questo meccanismo.
Il problema dell’ansia umana qual’è?
E’ che questo meccanismo si attiva anche quando non è necessario, almeno apparentemente. Noi abbiamo anche una corteccia cerebrale molto sviluppata che pensa migliaia di concetti a velocità istantanea. Diversi di questi concetti non sono nemmeno avvertiti dal “pilota” a bordo che è la consapevolezza, diciamo il nostro io. Avviene quindi che facciamo pensieri che scatenano paura anche mentre stiamo facendo cose che nulla hanno di terrificante. Stiamo magari guidando una macchina o passeggiando nel parco e,sotto la coscienza, una considerazione che facciamo ci terrorizza. Allora avvertiamo tutti i sintomi della messa in allerta visti prima dell’amigdala,e….stiamo male, ma non sappiamo perché.
Quello che accade improvvisamente è che avviene un ragionamento subconscio che porta ad una considerazione allarmante, molto allarmante, e questa va direttamente ad attivare la sensazione di pericolo e l’amigdala.
Esempio: stiamo facendo una pausa pranzo nel lavoro,passeggiando nei giardini….va tutto bene, ma oggi abbiamo letto che la società internazionale che controlla la nostra società ha avuto un bilancio negativo. Noi però stiamo pensando a ben altro, alla nostra famiglia a cosa faremo tornati a casa o a cosa dobbiamo fare sul lavoro…………..ma il subconscio pensa a tutt’altro e pensa che ora taglieranno gli investimenti e questo farà chiudere qualche filiale e che nel nostro settore geografico la filiale più importante é quella del paese confinante ed è probabile che taglino la nostra e che quindi ci licenzino e che perderemo lo stipendio e non potremo più mantenere i figli e dovremo svendere la casa e finiremo sul lastrico..e……PAURAAAAA!!!!
Sopra, nella nostra coscienza stiamo pensando:stasera usciamo tutti e andiamo a mangiare la pizza…..ma ad un certo punto avvertiamo tremore alle gambe, mancanza di fiato, e la immancabile tachicardia. La paura ci ha raggiunto e non sappiamo perché.
Da quel momento avremo una forte paura che “quella cosa” possa tornare. E può benissimo accadere che associamo quello che abbiamo visto in quei momenti, quello del primo episodio, alla “causa” della paura e ci convinciamo che i giardini all’aperto ci spaventino, ma è un’impressione falsa,meglio una deduzione falsa. Allora cominciamo ad evitare tutti gli ambienti le situazioni che “ricordano” quel primo attacco e a temere che possa ancora accadere….siamo entrati in un circolo vizioso. Ogni cosa/situazione/persona/rapporto diventa potenzialmente in grado di riprodurre quella paura.
Come se ne esce?
C’è un solo modo: la desensibilizzazione.
Significa che ad una situazione occorre abituarsi. Come quando si impara ad andare in bicicletta, o a guidare una macchina,all’inizio si può avere paura di farlo, perché NON SI SA COME SI FA. E si pensa al pericolo di fare una cosa su cui NON SI HA IL CONTROLLO.
Ma quando lo si fa e lo si fa ancora e ancora e ancora, allora si SA che c’è il controllo, un controllo totale e globale….e l’amigdala si spegne, e ci lascia vivere.

martedì 8 ottobre 2013

PSICOTERAPIE BREVI E LUNGHE

Mi viene spessa avanzata da chi viene in contatto iniziale con i principi di funzionamento di EDA, l’obiezione di fondo che non sia possibile risolvere i problemi della mente in poco tempo o peggio in pochi minuti. La convinzione generale è che occorrano lunghissimi e pluriennali rapporti con psicoterapeuti e psicologi per poter “sviscerare”  adeguatamente e portare alla luce conflitti e blocchi che la persona ha sviluppato negli anni e poterli poi risolvere. Terapie di anni ed anni.

L’ho creduto anch’io per molto tempo fino a quando l’evidenza mi ha dimostrato una realtà differente.

Una considerazione preliminare andrebbe fatta. Gran parte delle persone che si ritrovano afflitte da panico ed ansia forte, “esordiscono” con un singolo episodio, generalmente di panico, che piomba apparentemente come un fulmine a ciel sereno. Prima di allora nessun problema. Spesso proprio nessuno.

Questo “esordio”  violento ed inaspettato da’ forza all’idea che sia successo qualcosa a livello biochimico-genetico che abbia causato questo, ma poi, quando si comincia la psicoterapia vengono fuori le ragioni che hanno portato alla crisi. E ci sono sempre. Ma nessuno si domanda mai: ma perché una cosa che si manifesta in mezz’ora rovinando da lì in poi l’esistenza, richiede poi così tanto tempo per essere debellata? Perché non può andarsene come è venuta, rapidamente? Tra l’altro, se la farmacologia è ben concepita, è in grado di far sparire i sintomi nel giro di poco tempo. Perché non può esserci un modo per uscirne rapidamente senza bisogno dei farmaci?

La spiegazione più ovvia è che il “tracollo” sia stato preceduto da un accumulo di pressioni che hanno determinato la “caduta” nel panico, e che quindi il crollo sia solo l’ultimo atto di un processo iniziato da tempo.

Questa spiegazione non da’ però conto del fatto che la mente non è un osso che sopporta certe sollecitazioni e non oltre…..la mente è molto elastica ed immateriale e ciò che una persona considera insopportabile, un’altra la può considerare perfino
divertente. Come può essere che fino ad un attimo prima tutto andava bene e poi
“sbrang” viene giù tutto?

Ciò che succede è altro. Accade una cosa che è improvvisa e violenta: ci si spaventa a morte.

Perché accade? Perché la mente ad un certo punto fa una considerazione, un ragionamento, che la porta ad un punto, ad una conclusione, che da quella situazione non si può più uscire. Una conclusione di assoluta impossibilità.

Le cause scatenanti possono essere diversissime, ma ciò che accade è che la mente inconscia si rende conto, o meglio si auto-convince, di essere entrata in una situazione senza uscita, una trappola. E si spaventa. Poiché questa considerazione è
considerata “vera”, DA QUEL MOMENTO la persona è spaventata, e continuerà a
spaventarsi di essere spaventata. Da quel momento il pericolo sarà visto
ovunque.

Avviene che ciò che ha spaventato la persona originariamente non sia nemmeno più importante….da quel momento è la paura che comanda. Questa paura non è logicamente strutturata, non è composta da un ragionamento complesso ed articolato, ma è composto da “comandi” che la mente subconscia urla ed impone alla mente razionale.

La paura che assale una persona che esce all’aperto non è composta da considerazioni circa il pericolo reale che può esserci nell’uscire di casa. Ogni persona che soffra di questa paura, sa benissimo che non c’è un reale pericolo…non si tratta di attraversare un fiume infestato da coccodrilli affamati, eppure la mente in modo violento e rozzo urla la sua paura. Quello che determina la paura è un comando che ha una struttura semplice, breve e perentoria.

Il punto iniziale del “crollo” che sfocia spesso in un attacco di panico, è come dicevo sopra, dato da una considerazione, un processo di pensiero che porta ad una conclusione “terrorizzante”. Può per esempio essere una malattia di un genitore, un fatto anche poco impattante sul lavoro, una delusione amorosa, ma la mente, nel suo subconscio, pensa che sia successo qualcosa di grave. Questo può anche non
essere affatto vero, ma è vero per la mente in quel momento e….tracolla.
Spesso, quel ragionamento tracollante non sarà più vero dopo un po’ di tempo e
quindi a logica, non dovrebbe più tenere nell’ansia la persona, ma quello che
il tracollo fa e lo fa fin troppo bene, è distruggere la fiducia della persona
nella sua capacità di affrontare la vita. La mente le propina una serie di
“concetti” di paura ed invalidità e come un virus, questo modo di considerare
gli eventi della vita si diffonde a tutto: situazioni, rapporti, persone, cose.

A questo punto una “psicoterapia” che si faccia carico di andare a ristrutturare tutte le aree di sfiducia e paura di una persona diventa per forza di cose di dimensioni
monumentali. La persona in analisi deve dapprima contrastare la sua sfiducia in
sé suffragata da anni di tentativi falliti, con enorme sforzo di volontà, poi
deve affrontare le cose di cui ha preso ad avere paura, una ad una, e  poi deve stabilizzarsi su un nuovo modo di vedere le cose…..


In realtà le cose sono più semplici, grazie a Dio. Le reazioni che la persona ha di fronte alle sue paure, hanno un grande pregio: sono sempre le stesse. La mente ha maturato un certo modo rigido di reagire alle situazioni e usa sempre quelle. E questa è una cosa che facilita molto. In realtà avviene che di fronte a certi stimoli, la mente
“pensa” sempre la stessa cosa, normalmente in modo fobico. La sfiducia che la persona matura sulle proprie capacità non è esistenziale, ma fortemente
vincolata all’osservazione delle sue reazioni di fronte alle sue paure. Ne consegue che se si riesce ad eliminare il meccanismo automatico che scatta di fronte alle situazioni fobiche, CAMBIA radicalmente l’idea che la persona ha di sé. La percezione di sé dipende dall’esperienza negativa accumulata. Cambiando
il modo in cui la persona reagisce alla precedente situazione fobica, cambia
completamente la percezione di sé. In modo quasi istantaneo.

Inversamente la psicoterapia parte dall’assunto che occorra prima cambiare la percezione di sé per poter poi vincere le fobie. Strada possibile ma lunga, troppo lunga. E’ invertita la causa con l’effetto. La causa della disistima è il vivere nella paura. Togli la paura e la stima torna. Subito. Operando quindi DIRETTAMENTE sulle paure, si rialza la fiducia e la stima nelle proprie capacità. Strada breve, molto più breve. 

mercoledì 2 ottobre 2013

RAPPORTI VAMPIRIZZANTI

“Le persone che giudicano continuamente i nostri comportamenti, che ci correggono, che ci danno consigli, che ci fanno vedere i pericoli delle nuove iniziative che stiamo intraprendendo finiscono per indebolirci, per toglierci entusiasmo, per renderci insicuri. Questi sono i vampiri che ci trasferiscono le loro paure e le loro insicurezza sottraendoci energia vitale.” ( R.Morelli)

Questa dichiarazione del famoso psichiatra Morelli, ha in sé una serie di presupposti che mi sento di contestare nel modo più radicale.

Prima di tutto, tutti noi giudichiamo ciò che fanno gli altri. Lo facciamo continuamente. Quando guardiamo la TV, quando parliamo di altri e delle scelte che fanno, quando i nostri amici o familiari fanno o dicono cose che non condividiamo…
Per quanto questo sia vero non ci siamo mai posti o raramente lo facciamo, se il nostro esprimere giudizi sulle scelte e comportamenti altrui sia portatore di danni alle persone che andiamo a consigliare e a tentare di influenzare. Anzi, siamo d’accordo che quello che andiamo a dire e consigliare o criticare sia consigliato, criticato per il “bene” della persona che riceve i nostri messaggi.
Ma questo è tutt’altro che certo. Non sappiamo DAVVERO se ciò che andiamo a dire sarà veramente utile alla persona. E’ solo il nostro punto di vista che vediamo, non quello dell’altro!
Affermare questo non significa che non si debbano più dare consigli o fare critiche, sto solo sostenendo che non possiamo esser sicuri della bontà di ciò che facciamo.
Nell’ottica dell’affermazione di Morelli invece chiunque cerchi di correggere o consigliare è un vampiro energetico che “sottrae” energia vitale.

Non si capisce che idea di rapporto interpersonale possa esserci dietro questa impostazione.

Ogni comunicazione ha lo scopo di influenzare l’altro o gli altri. Se io dico anche solo ad un altro “ che splendida giornata”, creerò un effetto in lui. Potrà convenire con me oppure non convenire, o anche esserne molto infastidito se ad esempio in quella giornata è successa o sta per succedere una cosa a lui sgradita. Magari potrò, senza volerlo, innescare una crisi in lui perché magari lui si sentirà molto giù e la mia frase gli farà constatare che in effetti la giornata è bella ma lui la vede bruttissima….

Allo stesso modo io posso dire ad una persona che sta sbagliando tutto e la persona che riceve il messaggio esserne molto contenta perché sperimenterà di non avere alcun fastidio dalla mia osservazione perché è straconvinto delle sue scelte.

In sostanza invece la frase di Morelli accredita un’idea profondamente sbagliata dei rapporti interpersonali. Il primo errore è nell’idea che gli altri possano condizionare la nostra vita con il solo esprimere consigli e critiche. Se accreditiamo l’idea che qualcuno diventi un vampiro energetico solo perché ci critica, allora abbiamo una personalità molto debole e non crediamo in noi stessi e nelle nostre idee. Il secondo errore ancora più grave è che si accredita l’idea che gli altri siano “il nemico” pronto a farci del male.

In verità ciò che ci vampirizza di energia non è quello che gli altri ci dicono, ma il CREDITO che noi diamo a ciò che gli altri dicono. Il problema è tutto nostro, solo nostro.

Fateci caso, se un parere viene da una persona di cui non abbiamo stima, ciò che ci dice conta poco, se invece il messaggio arriva da qualcuno a cui diamo credito, allora sì che la cosa ci tocca. E perché ciò avviene? Per la semplicissima ragione che riteniamo CREDIBILE ciò che ci ha detto la persona che stimiamo e quindi la nostra vulnerabilità dipende da noi.

E’ su questo che dobbiamo lavorare: sulla capacità di valutare correttamente ciò che ci viene detto e sulla capacità di decidere e vivere in base alle NOSTRE scelte.
Credere che “fuori” ci siano i cattivi che ci succhiano l’energia è al contempo sbagliato ed infantile.
Ed anche in questo caso si conferma una legge universale. Le cose non sono mai OGGETTIVE. Sono sempre solo soggettive. Tutto dipende da come noi reagiamo agli stimoli esterni.


Sergio Davanzo - EDA Personal Coaching