FONTE: http://www.lameditazionecomevia.it/eckhart.htm
L'abbandono della volontà personale: un brano di Meister Eckhart
Abbiamo letto un brano dalle 'Istruzioni spirituali' (cap. 3) di questo grande mistico cattolico del XIII secolo.
"Gli uomini dicono: «Ah! Signore, davvero vorrei essere in buon
rapporto, in devozione e in pace con Dio (...)», oppure: «Non sarei
sereno a meno di essere qui o là, o di fare questo o quello; devo vivere
in terra straniera, o in eremitaggio, o in un monastero».
In
verità, in ciò sta il tuo io, e null'altro. È la tua ostinata volontà
personale (...): mai sorge in te l'inquietudine senza che ciò derivi
dalla tua volontà personale (...). Quando pensi che si debbano fuggire
certe cose e ricercarne altre, certi luoghi o certe persone, certi modi
d'essere o certe opere, ciò non avviene perché tali cose o tali modi ti
ostacolino, ma perché tu stesso ti sei di ostacolo nelle cose, non
avendo un corretto rapporto con esse.
Perciò devi cominciare da te
stesso e abbandonare te stesso. In verità, se non fuggi prima te stesso,
dovunque tu fugga troverai ostacoli e inquietudine. Chi cerca la pace
(...) deve prima di tutto abbandonare se stesso: così abbandona tutte le
cose.
In verità, se un uomo abbandonasse un regno o il mondo
intero e mantenesse se stesso, non avrebbe abbandonato proprio nulla.
(...) Soltanto chi abbandona la propria volontà e se stesso, ha
abbandonato davvero tutte le cose (...). Poichè solo ciò che non vuoi
più neppur desiderare, tu lo hai veramente lasciato e abbandonato per
amor di Dio. Per questo Nostro Signore dice: «Beati i poveri in
ispirito», ossia nella loro volontà. (...) «Chi vuole seguirmi, rinunci
prima a se stesso». Tutto dipende da questo. Vigila dunque su di te, e
non appena trovi te stesso, rinuncia al tuo io".
FONTE: http://www.lameditazionecomevia.it/eckhart.htm
COMMENTO DI EDA COACHING
Bellissimo passo di Meister Eckhart. Bello soprattutto per l’evidente
origine cristiano cattolica e al tempo stesso per la sua contiguità e
sovrapposizione con tanta parte del pensiero orientale, Buddhista e Zen.
Leggiamo quest’aforisma del Buddha:
Siamo ciò che pensiamo.
Tutto ciò che siamo è prodotto dalla nostra mente.
Ogni parola o azione che nasce da un pensiero torbido
è seguita dalla sofferenza, come la ruota del carro
segue lo zoccolo del bue.
Siamo ciò che pensiamo.
Tutto ciò che siamo è prodotto dalla nostra mente.
Ogni parola o azione che nasce da un pensiero limpido
è seguita dalla gioia, come la tua ombra ti segue,
inseparabile.
(Dhammapada)
Meister Eckhart dice: “Quando pensi che si debbano fuggire certe cose e
ricercarne altre, certi luoghi o certe persone, certi modi d'essere o
certe opere, ciò non avviene perché tali cose o tali modi ti ostacolino,
ma perché tu stesso ti sei di ostacolo nelle cose, non avendo un
corretto rapporto con esse.”
E’ evidente qui come anche nel
resto del testo che Meister Eckhart indica che il problema e la
soluzione sono nell’interno dell’uomo e nel suo modo di pensare. Questo è
ciò che Gesù intendeva quando diceva “Il Regno dei Cieli è in mezzo a
Voi”, perché la felicità piena dipende da ciò che si pensa e crede.
Questo incentrare sui propri processi mentali l’attenzione, al fine di
liberarsi di quelli che ci limitano, ci fanno vivere male, ci
impediscono di essere e fare liberamente, è anche quello psicologi,
psicoterapeuti, coaches cercano di trasmettere.
Meister Eckhart ci
parla della “volontà” come ostacolo alla piena libertà e felicità. Il
termine non è correttissimo, anche se anche Schopenhauer fece un’analisi
simile e consigliò un nuovo atteggiamento che definì con un riuscito
neologismo “nolontà” per distinguerlo dalla volontà vista anche dal
filosofo tedesco come ostacolo.
Più precisamente sarebbe da indicare
come “concupiscenza” l’atteggiamento che è di ostacolo alla libertà
personale e alla felicità.
Infatti è la concupiscenza nella sua
duplice forma della paura e del desiderio che blocca il raggiungimento
della felicità, perché pone la condizione di evitare la prima o
soddisfare il secondo per raggiungere la felicità stessa In questo
senso l’esempio portato da Meister Eckhart («Non sarei sereno a meno di
essere qui o là, o di fare questo o quello; devo vivere in terra
straniera, o in eremitaggio, o in un monastero») è più propriamente un
misto di desiderio e di paura. Desiderio di essere da un’altra parte
PERCHE’ dove sono ho cose che mi bloccano (e cioè di cui in ultima
analisi ho paura).
In EDA la concupiscenza, cioè un movimento
emotivo che attrae verso una cosa o porta a respingerne un’altra,
rendendo la persona NON padrona rispetto alla cosa stessa, è chiamato
NED, ed è l’obiettivo da colpire a cui la tecnica mira.
Differenti linguaggi, differenti tradizioni ma simili, se non uguali, obiettivi.
EDA Personal Coaching
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Come avrete letto, il punto di vista di EDA nella considerazione
dell'origine degli stati d'animo è un po' differente dalle impostazioni
classiche della psicologia ed anche del normale modo di intendere le
questioni mentali e le sue particolarità.
Nell'ambito della scienza della psicologia si tende a definire ad esempio le sofferenze psicologiche sulla base
dei vissuti trascorsi della persona, degli influssi familiari, delle
esperienze fatte nei primi anni dell'infanzia e dell'adolescenza. Sulla
base dei modelli educativi e genitoriali subiti, e così via.
Questo modo di interpretare gli influssi e i suoi effetti è sicuramente
attendibile nelle sue linee principali, nel senso che è indubitabile che
quei tipi di influenze sono le responsabili di certe modalità
comportamentali, di certe reattività, ed anche del complesso delle
capacità ed incapacità di una persona, almeno in parte.
Ma, ed
è un grosso ma, una volta fatta questa analisi dell'origine di certi
comportamenti, non ci viene detto granché di come questi influssi si
possano risolvere. Tipicamente l'approccio psicologista cerca di rendere
cosciente alla persona la supposta origine della sua sofferenza o
caratteristica sgradita. Purtroppo però il “capire” il perché una
persona può ad esempio essere costantemente ansiosa, o aggressiva o
depressa, è di fatto poco utile a provocare un cambiamento ed una
risoluzione.
La ragione di questa “resistenza” al cambiamento
emotivo e caratteriale, nonostante si conosca benissimo il perché del
comportamento, è in realtà molto semplice: il meccanismo che produce un
comportamento indesiderato non risiede nel campo della coscienza ma
alberga nel sub-conscio a cui la coscienza o consapevolezza della
persona non riesce ad accedere.
Perché accade questo?
Perché i cosiddetti influssi dei primi anni di vita, dei genitori,
dell'ambiente scolastico e così via, operano con un meccanismo che non è
dato generalmente dall'esperienza che è stata vissuta, ma molto, molto
specificatamente, da COSA la mente ha registrato di quel tipo di
influsso e di COME lo ha registrato.
Noi ci esprimiamo
attraverso il linguaggio, e questo è chiaro e pacifico per chiunque. Ma
quello che si tiene raramente in considerazione è che il linguaggio è
anche lo strumento attraverso cui noi PENSIAMO. Noi cioè non possiamo
pensare se non con lo strumento del linguaggio e questo è di estrema
importanza per capire come gli influssi anche emotivamente negativi
entrano nella mente e vi si insediano.
Pensando attraverso il
linguaggio noi diamo ad esso un potere immenso. OGNI parola di cui noi
abbiamo un significato, corretto o scorretto che sia, diventa una
verità, perché il linguaggio è per la nostra mente ciò che in effetti
pensiamo. Se ad esempio qualcuno ci dice “sei uno stupido”., noi
possiamo credere o non credere a ciò, ma non di meno non dubitiamo del
significato della frase e quindi penseremo che siamo stati insultati,
oppure presi in giro oppure che ci sia stata detta una verità. A seconda
della nostra reattività, avremo un'emozione legata all'ascolto di
questa frase, che è l'emozione che la frase PER NOI, porta con se'. Ad
esempio se la persona che ci ha detto “sei uno stupido” stava parlando (
secondo noi) seriamente e noi abbiamo l'idea che questa persona sia
seria ed attendibile, probabilmente avremo una caduta dell'umore perché
prenderemo l'affermazione per vera o verosimile.
Come per
questo esempio, esistono migliaia di pensieri che sono associati ad
emozioni che possono essere di rabbia, di ansia, di tristezza, di
angoscia o anche di gioia,di felicità e di entusiasmo.
Quello
che accade quando si assimilano certi influssi ad esempio educativi, è
che semplicemente un certo tipo di frasi a cui noi abbiamo in passato
creduto perché ad esempio dette dai nostri genitori, sono penetrate
nell'inconscio e da lì hanno cominciato a girare ed attivarsi ogni volta
che una situazione esterna richiamava tali pensieri “inculcati” dalle
frasi dei genitori.
Se ad esempio accadeva che il genitore dicesse
spesso “ non sei capace di fare niente”, tale pensiero si è poi
installato nel subconscio ed ha cominciato a girare, come un programma
software non voluto, attivandosi ogniqualvolta ci fosse stato qualcosa di non
ben conosciuto da fare od imparare.
Questa frase, operando in
questo modo subdolo, diventa così una “convinzione” radicata circa se
stessi, ma in effetti, l'unica causa VERA del perché una persona non
riesce a fare cose nuove, e ne ha paura è perché c'è nel subconscio una
“voce” che gli ripete qualcosa di molto simile a “ non sei capace di
fare niente”.
In altre parole non esiste una incapacità a fare le
cose ,ma solo una frase che dice che questa incapacità ci sia: la frase
realizza se stessa.
Nella depressione accade una cosa
identica: ci sono frasi che indicano una o più impossibilità. Idee del
tipo : “non c'è alcuna via d'uscita” , “ non c'è nulla da fare” “ormai è
troppo tardi” e via dicendo, sono ESSE STESSE la causa della
depressione, perché la depressione è causata da un'idea di impossibilità
che “gira” costantemente nella mente.
Attraverso la tecnica
EDA si cercherà di individuare la o le frasi che danno queste idee di
impossibilità e applicando la tecnica, esse verranno “deprogrammate”
come dice il metodo stesso , fino a “svuotarle” della convinzione che la
frase esprime. Fatto ciò la depressione scomparirà, perché sarà stata
cancellata l'idea di impossibilità che la teneva attiva
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Quando
ci si attacca a qualcosa, la vita è distrutta; quando ci si afferra a
qualcosa, si smette di vivere. É scritto in tutte le pagine del vangelo.
E questo ci consegue con la comprensione. Cercate di capire. E capite
anche un'altra illusione: la felicità non corrisponde all'emozione,
all'eccitazione. Credere che un'emozione derivi dalla realizzazione di
un desiderio è un'altra illusione. Il desiderio
è portatore di ansia e prima o poi i postumi della sbornia saltano
fuori. Quando si è sofferto a sufficienza, allora si è pronti a capirlo.
(Anthony de Mello)
COMMENTO
Anthony De Mello morto nel 1987, era un gesuita fin dall’età di sedici
anni, nato e cresciuto in India e vivente poi negli USA per lungo tempo
dove operò come psicoterapeuta. Ciò gli diede una fantastica visione
esistenziale: conobbe il pensiero filosofico-religioso orientale, indù e
buddista, assimilò la teologia e spiritualità cristiana, e scrisse
libri, libri famosi che sono stati e sono ancora best-seller mondiali.
La cosa straordinaria di De Mello è la sua superba capacità di cogliere
similitudini e sovrapposizioni tra le varie fonti culturali che l’hanno
contaminato positivamente.
E’ per chi si occupa di coaching una fonte pressoché inesauribile di spunti, come in questo caso.
Notate questo concetto: “la felicità non corrisponde all'emozione,
all'eccitazione. Credere che un'emozione derivi dalla realizzazione di
un desiderio è un'altra illusione”
Chi legge potrà pensare: eh,
storie…..Quando ottengo quello che desidero io sono felice! Quando mi
compro la macchina che volevo da tanto tempo, sono contento e
soddisfatto. Quando ottengo l’aumento che aspettavo da anni sono
contento!
Vero. Apparentemente è così. Ma è solo apparenza. Ciò che
da’ la felicità, la contentezza, non è l’oggetto o il risultato
acquisito, ma il termine della tensione legata al raggiungimento. Nel
momento in cui si raggiunge l’obiettivo, si verifica nella mente
quell’ooohhhhh, quel rilascio dalla tensione, quella fine della
preoccupazione che prima sussisteva, e che diceva: devi avere di più,
devi avere quella cosa lì.
E questo è il meccanismo mentale della
felicità. La felicità non è data dalle cose ottenute, ma dal rilascio
nervoso che l’ottenerle comporta. La cosa è così vera che molto spesso
il sollievo del risultato raggiunto dura poco perché poi, spinti dalla
ricerca di nuove cose che ci raccontiamo ci necessitano, torniamo in
tensione e ricominciamo a desiderare…altro. E la sofferenza ricomincia.
La domanda è perfino banale: e se smettessimo di restare in continua
tensione? E se smettessimo di desiderare sempre? E se decidessimo che le
cose vanno bene già ora?
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