giovedì 31 gennaio 2013

LE "TRAPPOLE" DELLA MEDITAZIONE

"Se non è rotto, non aggiustarlo" (Barry Magid)

Iniziamo a leggere alcuni brani dal testo di Barry Magid, Guida zen per non cercare la felicità. Barry Magid, allievo di Joko Beck, è psicanalista e fondatore dello zendo The Ordinary Mind (New York).


"Il detto «se non è rotto, non aggiustarlo» [...] non solo ci avverte di non andarci a impicciare con le cose che già funzionano perfettamente bene senza il nostro aiuto, ma ci sfida a guardare più da vicino quelle cose della nostra vita che ci sembrano rotte e che riteniamo debbano essere aggiustate. Potrebbe essere una sorpresa riconoscere che in fin dei conti non c'è niente che sia rotto e niente che si debba aggiustare.
[...] Sia la psicoanalisi sia la meditazione possono produrre profondi cambiamenti nella nostra vita, ma lo fanno ciascuna in modi che non ci aspettiamo. [...] In un senso profondo, l'una e l'altra ci cambiano insegnandoci a lasciare tutto così com'è; ma lasciare che tutto rimanga così com'è non è ciò che di solito volevamo o ci aspettavamo. Esistono molti tipi di terapie e di pratiche spirituali che promettono di realizzare tutte le nostre fantasie di automiglioramento, se non di perfezione. [...] Tutti questi 'aiutanti', e quelli che questi aiutanti pretendono di aiutare, sono sicurissimi di cosa va storto e di cosa lo potrà raddrizzare. Psicoanalisi e zen, ciascuno a suo modo, mettono in dubbio quel tipo di sicurezza.
[...]
Il disagio che proviamo nei confronti della nostra mente così com'è ci viene chiaramente mostrato da quel tipo di pensieri che io chiamo 'meta-pensieri': pensieri su pensieri, che prendono la forma di giudizi o commenti su tutto il processo. Sono i pensieri del tipo «Come sto andando?», o «Lo sto facendo giusto?». Quando etichettiamo i nostri normali pensieri come pensieri sul pranzo, progetti o sogni a occhi aperti, ne prendiamo semplicemente nota e li lasciamo andare; ma i meta-pensieri richiedono un tipo di attenzione un po' diverso, perché possono racchiudere in sé ogni tipo di brama, aspettativa o giudizio su ciò che stiamo facendo e perché stiamo praticando. I meta-pensieri ci rivelano dove e quando pensiamo di essere rotti e quali sono le nostre fantasie di essere aggiustati o guariti. Queste fantasie di guarigione costituiscono il nucleo centrale di quella che io chiamo la nostra pratica segreta. Saper riconoscere con chiarezza la pratica segreta è il solo sentiero che conduce alla pratica vera.
[...] Quale che sia il metodo di meditazione che adottiamo, inevitabilmente cercheremo di arruolare quella pratica al servizio di una o di tante delle nostre fantasie di guarigione. Una fantasia di guarigione è un mito personale che usiamo per spigare cosa pensiamo che sia sbagliato in noi e nella nostra vita e cosa immaginiamo che potrà farla andare per il meglio. [...]
'Dualismo' è un termine che il buddhismo usa per descrivere l'esperienza di essere tagliati fuori da quel che c'è di vitale nella vita. Dovunque siamo, sentiamo che ciò che vogliamo o di cui abbiamo bisogno sta da qualche altra parte. Ci sentiamo isolati e alienati dalla vita [...]. Nelle nostre fantasie di guarigione immaginiamo che cosa ci manca e al tempo stesso cerchiamo a chi dare la colpa del perché non ce l'abbiamo. Possiamo incolpare noi stessi, o gli altri o il destino. A volte immaginiamo che qualcun altro abbia davvero quello che stiamo cercando e tentiamo di attaccarci a quella persona. Possiamo attaccarci come amante, come studente, come discepolo o come paziente. [...]
Quasi sempre concludiamo che c'è qualcosa di sbagliato in noi così come siamo. [...] Le nostre fantasie di guarigione contengono sempre al loro interno una corrispondente fantasia di cos'è che non va in noi [...]. Perciò, quando cerchiamo di vincere la nostra sofferenza, dobbiamo in primo luogo considerare in quali modi abbiamo dato a noi stessi la colpa del nostro soffrire" (pp. 7-20).

Fonte: http://www.lameditazionecomevia.it/magid1.htm

COMMENTO

Ringraziamo sentitamente ancora una volta Gianfranco Bertagni (www.gianfrancobertagni.it ) che dai suoi siti e blog mette generosamente a disposizione tantissimo materiale e di altissima qualità con cui poter sviluppare riflessioni sul nostro essere, pensare ed agire.

Questo passo è molto, molto interessante. Presenta un problema “classico” della speculazione filosofica orientale, e non solo. In parole semplici: la felicità è un obiettivo da raggiungere o è un ulteriore impaccio sulla via della liberazione?
Barry Magid scrive: “Il disagio che proviamo nei confronti della nostra mente così com'è ci viene chiaramente mostrato da quel tipo di pensieri che io chiamo 'meta-pensieri': pensieri su pensieri, che prendono la forma di giudizi o commenti su tutto il processo. Sono i pensieri del tipo «Come sto andando?», o «Lo sto facendo giusto?».”
Dal punto di vista di EDA e della struttura dei NED (Nucleo Emotivo Perturbante), non è tanto importante chiedersi questo o non chiederselo, ma è importane chiedersi: COME lo penso un pensiero così? Se cioè una persona è ansiosa o preoccupata di fare una cosa bene o male, è QUELL’ ansia che è l’obiettivo, perché se la domanda genera preoccupazione, ansia, desiderio, allora è un NED da trattare.
Ciò che deve essere eliminato non è il “pensare”, perché avremmo che un cosiddetto illuminato non potrebbe pensare più nulla, ma ciò che deve essere eliminato è l’attaccamento emotivo al pensiero.
Appena dopo Barry Magid argomenta: “ma i meta-pensieri richiedono un tipo di attenzione un po' diverso, perché possono racchiudere in sé ogni tipo di brama, aspettativa o giudizio su ciò che stiamo facendo e perché stiamo praticando”.
Giusto. Nel senso che QUALSIASI pensiero che abbia in sé brama, aspettativa o giudizio è per così dire “espressione” di un NED (Nucleo Emotivo Perturbante). E questo vale per tutti i pensieri che siano meta o non meta. Bramare di vincere alla slot machine non è un meta-pensiero, ma è ugualmente brama.
Barry Magid prosegue ancora dicendo: “Quale che sia il metodo di meditazione che adottiamo, inevitabilmente cercheremo di arruolare quella pratica al servizio di una o di tante delle nostre fantasie di guarigione.”
Questa è un’affermazione un po’ azzardata, perché troppo assoluta. Magid presuppone che ogni (attenzione, OGNI) metodo di meditazione “arruola” fantasie di guarigione. Questo lo porta a dire che questo accade perché si parte dall’idea che ci sia un’idea di sbagliato in noi, da “guarire”.
Beh qui c’è un errore di pre-assunzione ( non di presunzione, perché non sono certo in grado di valutare come sia Magid come persona). Magid pre-assume che il metodo di meditazione usato NON affronti il problema della sete, dell’ansia di guarire. Questo è sbagliato. Non solo è sbagliato per EDA, che sarebbe il meno, ma lo è per grande parte dei metodi meditativi che pongono al centro del proprio operare lo spegnere e il superare i sensi di inadeguatezza e colpa.

Uno degli aforismi del Buddha è quello in cui un discepolo lo avvicina e gli chiede: “Maestro vorrei essere felice” E il Buddha risponde: “ vai, il tuo desiderio è stato esaudito”.

E’ pertanto conosciuto, e bene, l’inganno della ricerca della felicità, ma trattasi dell’inganno della RICERCA della felicità, non della felicità e basta. La felicità invece c’è e comincia a farsi strada spontaneamente mano a mano che vengono rimossi i NED ( le convinzioni) che “dicono” che occorra ancora qualcosa per essere felici.

Così come il sole splende quando si spostano le nuvole, così avviene che si diventa più felici mano a mano che si eliminano le cose di cui pensiamo di aver bisogno per esserlo.

Leggiamo ancora infine Magid: “Quasi sempre concludiamo che c'è qualcosa di sbagliato in noi così come siamo. [...] Le nostre fantasie di guarigione contengono sempre al loro interno una corrispondente fantasia di cos'è che non va in noi [...].”

Vero, se pensiamo di essere malati o infelici o comunque bisognosi di miglioramento, abbiamo un’idea che ci sia qualcosa che non va. Ma quasi sempre c’è DAVVERO qualcosa che non va, e le “cause” di questo qualcosa sono sempre al di la’ del conscio e non controllabili. Se il prendere consapevolezza che c’è da migliorare viene presa in negativo, deprimendosi, intristendosi, allora si avrà ancor di più peggiorato la situazione, ma si può anche prendere il miglioramento e il cambiamento come positività, come rinascita, e allora non si avranno più “fantasie” di guarigione, ma un “processo” di guarigione, un’aspirazione che, diversamente dal desiderio, non guarda a ciò che non c’è e ne soffre, ma a ciò che sta arrivando, e ne gioisce.

EDA Personal Coaching
http://edacoaching.blogspot.it/

giovedì 10 gennaio 2013

DARE CON COM-PASSIONE

Quando si da' ciò che si ha, senza davvero essere donatori ma solo "datori", il rapporto rimane di puro scambio, utilitaristico. Se invece nel momento che si da' oltre a dare "cose" si da' anche il proprio essere personale, rappresentato dalla stima, dall'affetto, dall'amicizia, dalla com-passione ( avere una passione comune) allora si da' tanto e la differenza si "sente". Se quando da "capo" date una gratifica, un aumento di stipendio e non fate capire che lo date con il cuore, con la convinzione che chi lo riceve se lo merita, anche se la persona può non piacervi, non state dando nulla. Se quando fate una vendita date solo il prodotto o il servizio e non date anche la vostra stima professionale a chi ha avuto fiducia in voi e nella vostra azienda, non date nulla e perderete il cliente, prima o poi.
Se quando fate un piacere ad un amico fate capire che vi pesa, che l'avete fatto "obtorto collo", non date nulla e probabilmente perderete un amico.
Se quando assumete una persona le fate sentire che le avete fatto
un piacere, invece di avere realizzato un'intesa, un accordo vicendevolmente vantaggioso, una scelta di quella persona, siete solo un "datore" di lavoro e non un "leader" nel quale riconoscersi...e presto il nuovo arrivato cercherà un'altra "casa".

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ENTRARE IN SINTONIA CON IL PROSSIMO

Se vogliamo entrare in sintonia e in profonda comunicazione con il prossimo, sia esso un familiare stretto, un coniuge, un figlio o un genitore oppure un collega, un cliente o il proprio capo, occorre capire il loro modo di comprendere e comunicare.
Questo è un insegnamento vecchio come il mondo. E’ una delle leggi dell’affinità e dell’empatia più conosciute e al tempo stesso meno usate.
Ma cosa è che impedisce l’applicazione di questa regola in definitiva semplice?
La convinzione che il proprio modo di pensare, di vedere, di sentire, di percepire, sia lo stesso per tutti. Partiamo dalla convinzione che ciò che noi capiamo, sentiamo e diciamo, sia quello che fanno anche gli altri. Ma non è così. Questo è l’inganno del linguaggio e allo stesso tempo l’inganno dell’ego. Ci consideriamo il centro dell’universo….noi siamo ciò che è giusto, ciò che è valido, ciò che è universale.
Ecco che quindi quando parliamo, pensiamo, non consideriamo che ciò che stiamo facendo è solo nostro e non è patrimonio comune dell’altro.
Ci sono regioni del mondo dove mettersi le mani in tasca è uno dei più radicali insulti o segno di mancanza di rispetto, mentre per noi non significa nulla….
Se vogliamo davvero comunicare con il mondo dobbiamo capire il mondo e capirlo volta per volta….con umiltà, e farci capire….
Se tutti facessimo questo sforzo molti muri cadrebbero…E’ incredibile quante cose siano apparentemente diversissime ma che se ben comprese e ben comunicate si rivelerebbero assolutamente simili se non identiche, evitandoci tanti inutili conflitti.
Alla fin fine il tutto si riduce a questo: rispetto per l’altro.

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sabato 5 gennaio 2013

FELICITA' PERDUTA

"La mente, nel suo stato abituale, può essere paragonata al cielo oscurato da strati di nubi che nascondono la sua vera natura."
(Kalu Rinpoche)

COMMENTO


Queste poche parole danno una pressoché perfetta sintesi di ciò che dovrebbe essere il punto di partenza del cambiamento personale.

Perché? Perché in esse c’è espressa una semplice verità.

Ci siamo spesso chiesto: ma perché quando ero bambino ero sempre contento, allegro, vitale ed ora non lo sono più?
La risposta che ci diamo è normalmente molto indulgente verso il nostro “peggioramento” Cominciamo a dirci….eh, perché ero nella beata ingenuità! Non avevo responsabilità, dovevo solo pensare a giocare, e al resto ci pensavano i genitori…non dovevo lavorare per vivere…

Ma questo in effetti non è vero. Anche nell’infanzia e nella fanciullezza ci sono molti doveri, ed alcuni anche pressanti, come la scuola, che richiede gran parte della giornata, se poi ci si dedica anche ad altre attività, come lo sport o la musica, o lo studio di lingue straniere…si può anche dire che forse in certi casi, l’età dell’infanzia e della fanciullezza può essere perfino più impegnativa di quella dell’età adulta.

E allora cosa c’è di diverso in quegli anni che colora tutto di rosa?

Una mente sgombra e un cuore aperto. Occorre saperlo riconoscere, ciò che dà la felicità nei primi anni di vita è una mente trasparente e non riempita di diffidenza e paura, una mente fiduciosa e straordinariamente semplice e, proprio per questa ragione, capace di gioire per ogni e nessuna cosa.

Ci hanno convinto che per ben vivere occorra sapere tante cose ed avere la mente piena di concetti, ma è invece vero il contrario: che quando nella mente ci sono poche cose, essa contempla il sole e la luce con grande facilità. E’ solo per difenderci dalla malizia degli altri esseri umani che dobbiamo imparare ad avere paura. Ma la paura, la paura di sbagliare, di perdere il lavoro, l’amore, la famiglia, il denaro, la ricchezza, la vita stessa, rende questo vivere una sofferenza…la nostra mente viene ricoperta da nubi oscure che non ci permettono più di godere la luce del sole e del cuore.

Che fare dunque?

Ovvio, spazzare le nubi che abbiamo lasciato oscurassero il sole. Un pezzo alla volta occorre disimparare ciò che abbiamo imparato: ad avere paura.

Fiducia è la parola magica.

EDA Personal Coaching
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