mercoledì 4 dicembre 2013

I FILTRI DELLA MENTE


Ciò che sussiste nella mente, viene costantemente filtrato. Quali sono questi filtri? Paure, desideri, relazioni, convinzioni, abitudini e condizionamenti. Essi selezionano ciò che viene percepito dai nostri sensi. Non ho sensazioni reali, ma reagisco alle immagini sostanziate della mia mente. Posso guardare qualcuno, scorgere in lui un americano, e provare un sentimento positivo; chiunque altro, guardando la medesima persona, può provare un sentimento opposto. Si vede un essere umano o un’immagine? Dalla reazione degli altri si può capire se state rispondendo all’impulso del qui e ora o a un’immagine precostituita. Quando desiderate qualcosa, prestate attenzione a molte cose di cui gli altri non si rendono conto. Una madre può dormire profondamente anche in mezzo al baccano, ma si sveglia al primo sospiro del proprio bimbo. Perché? I suoi sensi filtrano gli altri suoni. Avviene qualcosa dentro di noi. Esiste come un sensore, che agisce su ciò che viviamo. Tale percezione dipende dal condizionamento ricevuto in passato.

Anthony De Mello - ISTRUZIONI DI VOLO PER AQUILE E POLLI...

COMMENTO

Non ci facciamo caso quasi mai ma tutto ciò che percepiamo dall’esterno, siano essi oggetti, suoni, persone o pensieri…é fortemente condizionato dalle nostre idee di piacevole o spiacevole, bello o brutto, sì o no.
Tutto questo valutare in senso positivo o negativo crea una serie di filtri nella mente….Ci saranno delle cose che non vogliamo vedere o che proprio non vediamo, e sono le cose spiacevoli, che abbiamo deciso che non ci piacciono, ed altre che invece noteremo immediatamente perché le consideriamo piacevoli…..E così selezioniamo la realtà che vogliamo percepire e che vogliamo rifiutare.
Questo accade anche e soprattutto per le idee ed i pensieri. Se accade ad esempio che dobbiamo incontrare una persona che NON ci piace, entreremo in sofferenza prima e durante l’incontro, perché abbiamo DECISO che quella persona non ci piace. Se pensassimo il contrario, sarebbe un piacere incontrarla, no?
E perché una persona può essere “antipatica”? Le ragioni possono essere molto diverse ma di fondo perché quella persona ha, o riteniamo abbia, delle caratteristiche che noi consideriamo “negative”, e quindi ancora una volta si tratta di giudizi di “rifiuto” che abbiamo nella nostra mente e che condizionano il nostro modo di pensare. Magari non siamo nemmeno consapevoli del perché una certa persona “non” ci piace, perché magari le ragioni risiedono nel nostro inconscio e riguardano similitudini con altre persone che nemmeno ricordiamo….

E la stessa cosa succede con le situazioni, gli ambienti, gli oggetti e sopra ogni cosa, con la VALUTAZIONE che diamo di noi stessi.

Cosa è una valutazione? Un rappresentare ciò che dovremmo essere in confronto a ciò che (riteniamo) siamo.

La distanza che intercorre tra queste due cose è una misura quasi esatta della sofferenza che ci carichiamo addosso. Cercare di migliorarsi non è male, non è una cosa negativa. E’ giusto aspirare a migliorarsi….quello che non va bene è deprimersi ed avere una cattiva opinione di sé se non ci si riesce, perché questo non farà che peggiorare lo stato generale.
Ed anche qui abbiamo un filtro nella mente che riguarda noi stessi: non sono come voglio/devo essere.

Smettere di giudicare pone fine alla creazione dei filtri ed azzera le distanze tra desiderio e realtà, vera causa della sofferenza.

Sergio Davanzo
EDA PERSONAL COACHING

lunedì 25 novembre 2013

L'ANSIA ANTICIPATA

Vivere in costante preoccupazione prima di un evento non fa che peggiorare la nostra vita, ovviamente vivremmo male sia prima che durante l'evento stesso. E' ciò che accade in tutti quei casi in cui ci sentiamo insicuri o/e che ci mettono ansia,  tipo importanti incontri di lavoro o meno, esami sia scolastici che medici, compiti o ruoli in cui non siamo sicuri di noi stessi, ecc...  Ma quanto più ci si preoccupa, peggio si sta, e peggio si affronta la situazione.
Con l'approccio di EDA si mira proprio a questo a rendere meno importante ciò che invece si considera TROPPO importante...si lavora sull'ansia o qualsiasi altra emozione disturbatrice generata da queste situazioni andando a depotenziare la relativa reattività.
Facendo questo si lavora per portare la persona ad affrontare le situazioni con un minor grado di ansia ed aspettative, lasciando nel contempo una maggiore lucidità proprio per fare bene ciò che deve esser fatto. Togliendo l'ansia e la tensione si ottiene spontaneamente quello che più si desidera in questi casi: la tranquilla fiducia nelle proprie capacità.

venerdì 22 novembre 2013

I DUE TIPI DI MENTE


La mente è molto ampia e articolata in più funzioni e capacità. Vi è quindi una mente che è soggetta all’attaccamento, all’odio, alla paura, alla tristezza e alla disperazione.
Ma però vi è anche una “mente” che può essere molto equilibrata e razionale, felice e amorevole.
Questa “mente” pura esiste ed è quella che si manifesta quando l’altra mente, quella che da’ problemi, è stata ripulita adeguatamente.
Cosa crea le condizioni per cui noi possiamo essere adirati, impauriti, terrorizzati, angosciati, infelici?
E viceversa cosa crea le condizioni perché noi si sia felici, tranquilli, sereni, positivi?
La risposta è tremendamente semplice.
Tutto ciò che non vogliamo si verifichi crea in noi rabbia, paura e tristezza, in tutte le sue manifestazioni, se si verifica.
Tutto ciò che noi vogliamo si verifichi crea in noi rabbia, paura e tristezza , in tutte le sue manifestazioni, se non si verifica.
Tutto ciò che noi vogliamo si verifichi crea in noi pace, tranquillità, serenità, pace, amore, in tutte le sue manifestazioni se si verifica.
Tutto ciò che non vogliamo si verifichi crea in noi pace, tranquillità, serenità, pace, amore, in tutte le sue manifestazioni se non si verifica.
Quindi tutti i problemi nascono dal raffronto tra ciò che vorremmo e ciò che è.
Quando in EDA affrontiamo questo in una persona, andiamo ad individuare quali sono queste aree di tensione tra desiderio e realtà, e lavoriamo per ridurre a zero questa tensione.
E la cosa interessante è che quando si riduce la tensione, la capacità della persona di raggiungere ciò che vuole è enormemente aumentata, perché parte da una situazione di calma e serenità che moltiplica la sua capacità di raggiungere l’obiettivo.
Meno desideri e non solo più sei, ma anche più hai.

lunedì 11 novembre 2013

VINCERE AD OGNI COSTO

Noi occidentali siamo stati immersi nella competizione fin dall’asilo. Tutta la nostra società è fondata sul concetto di competizione.
Tutto da noi è competizione. Lo sport è competizione. Non dovrebbe essere così. Lo sport dovrebbe essere educazione e formazione e non solo competizione. Dovrebbe insegnare l’arte della disciplina e dell’automiglioramento. Dovrebbe abituare ad accettare le sconfitte, a cercare di migliorare i propri limiti. Dovrebbe educare a vincere con il rispetto delle regole, con il fair play.
Invece nella testa degli adulti e dei genitori, la sola cosa che conta è vincere. Vincere con qualsiasi mezzo. Non c’è traccia di formazione ed educazione, ma solo di acquisizione di “status”, di soddisfacimento dell’EGO dei genitori. Ecco che quindi, una volta adulti, questi giovani che si affacciano alle competizioni, non capiscono la legge dello sport, ma solo la legge della vittoria. Ed è quindi inevitabile poi ricorrere ad “aiuti” che siano la manipolazione di arbitri e giudici o la manipolazione del proprio corpo attraverso il doping. E nemmeno si rendono conto dell’aberrazione di questo modo di ragionare.
Anche la scuola è competizione. Ci sono voti, borse di studio, riconoscimento per i più bravi, classifiche. Ma anche qui abbiamo perso il “senso” della scuola. La scuola è prima di tutto formazione, formazione mentale, creazione di un popolo di persone che sa pensare, che sa capire, che sa approfondire. E’ la vera ricchezza di una nazione.
Dovremmo avere in massimo grado attenzione per la qualità della scuola. Dovrebbe creare un tessuto umano sano, ricco di potenziale. Per avere un mondo migliore.
E invece la scuola è diventato solo un mezzo per acquisire denaro e potere. Ed anche qui, fin dai primi anni si compete per dare ai propri figli le scuole migliori e più titolate, non perché siamo interessati alla formazione dei nostri figli ma perché siamo interessati alla loro futura capacità di fare soldi. Di accumulare potere. Di distanziarci dagli “altri” , per creare nuove classi.
Tutti questi sono giochi dell’EGO. Desiderio di primeggiare, essere in cima alla scala economica e sociale é solo un altro modo per essere discriminatori, in fin dei conti razzisti.
Lao Tsu dice: agire, non competere. I risultati si raggiungono con l’azione, non con la competizione. Quando si sa agire, si ha competenza, si ottiene sicuramente un risultato. Quando si sa vincere non è detto che si raggiunga un risultato: si può semplicemente vincere distruggendo l’altro competitore, ma non è detto che il vincitore sia migliore del vinto.


martedì 5 novembre 2013

LA FELICITA' E'... USCIRE DALLA RUOTA DEL CRICETO

Se fossimo contenti di ciò che siamo ed abbiamo saremmo felici. Se invece cominciamo a dire che la nostra situazione “non va bene” o che la realtà “non va bene” ecco che comincia l’insoddisfazione…..si crea una tensione tra il desiderio che abbiamo creato e il realizzarlo. Possiamo anche riuscire a soddisfare il desiderio e raggiungere un certo livello di felicità, ma questo avverrà solo se lo raggiungeremo. Fino ad un secondo prima saremo ansiosi, angosciati, impauriti, adirati, per tutti gli ostacoli che si frappongono o paiono frapporsi tra noi ed il desiderio che abbiamo.
Ad uno sguardo superficiale ci parrà che il raggiungimento del nostro desiderio, del nostro risultato, sia la ragione della nostra felicità, ma non è vero.
La felicità è data dalla caduta di tensione che il raggiungimento provoca. Se abbiamo riportato un’ importante vittoria, la pace non è dovuta alla vittoria, ma al fatto di non aver più la tensione di agguantarla. Certo, nei primi momenti vi sarà l’euforia, quella legata sì al raggiungimento, ma successivamente, passato un po’ di tempo, lo stato di contentezza sarà solo dovuto alla (temporanea) mancanza di desiderio. Ma una mente ed un cuore irrequieto, dopo poco tempo cominceranno a cercare un nuovo obiettivo per cui soffrire e lottare, per cui avere ansia e rabbia e ricomincerà la sofferenza per raggiungere il nuovo obiettivo.
Questo modo di procedere è come vivere in tossico dipendenza, senza mai vera pace ed equilibrio. Se non si esce da questa ruota del criceto non si raggiunge mai la felicità, che, lungi dall’essere dovuta a ciò che abbiamo e siamo, dipende solo dalla non contrapposizione di desideri.

domenica 3 novembre 2013

DISIMPARARE LA PAURA

Spesso ci siamo chiesti: ma perché quando ero bambino ero sempre contento, allegro, vitale ed ora non lo sono più?

La risposta che ci diamo è normalmente molto indulgente verso il nostro “peggioramento” Cominciamo a dirci….eh, perché ero nella beata ingenuità! Non avevo responsabilità, dovevo solo pensare a giocare, e al resto ci pensavano i genitori…non dovevo lavorare per vivere…

Ma questo in effetti non è vero. Anche nell’infanzia e nella fanciullezza ci sono molti doveri, ed alcuni anche pressanti, come la scuola, che richiede gran parte della giornata, se poi ci si dedica anche ad altre attività, come lo sport o la musica, o lo studio di lingue straniere…si può anche dire che forse in certi casi, l’età dell’infanzia e della fanciullezza può essere perfino più impegnativa di quella dell’età adulta.

E allora cosa c’è di diverso in quegli anni che colora tutto di rosa?

Una mente sgombra e un cuore aperto. Occorre saperlo riconoscere, ciò che dà la felicità nei primi anni di vita è una mente trasparente e non riempita di diffidenza e paura, una mente fiduciosa e straordinariamente semplice e, proprio per questa ragione, capace di gioire per ogni e nessuna cosa.

Ci hanno convinto che per ben vivere occorra sapere tante cose ed avere la mente piena di concetti, ma è invece vero il contrario: che quando nella mente ci sono poche cose, essa contempla il sole e la luce con grande facilità. E’ solo per difenderci dalla malizia degli altri esseri umani che dobbiamo imparare ad avere paura. Ma la paura, la paura di sbagliare, di perdere il lavoro, l’amore, la famiglia, il denaro, la ricchezza, la vita stessa, rende questo vivere una sofferenza…la nostra mente viene ricoperta da nubi oscure che non ci permettono più di godere la luce del sole e del cuore.

Che fare dunque?

Ovvio, spazzare le nubi che abbiamo lasciato oscurassero il sole. Un pezzo alla volta occorre disimparare ciò che abbiamo imparato: ad avere paura.

Fiducia è la parola magica.


giovedì 31 ottobre 2013

MAPPARE LE PROPRIE AREE DI MIGLIORAMENTO

Tutti noi sappiamo di avere delle capacità e risorse a cui sappiamo accedere con grande facilità ed altre che invece fatichiamo ad acquisire e a padroneggiare. Sono di differenti aree ed argomenti. Vorremmo poter esser in grado di fare tutto ed affrontare tutto, ma per qualche ragione recondita o anche conosciuta, non riusciamo a superare alcune barriere che ci si presentano sempre davanti.
Al fine di poter individuare quelle che vengono dai formatori definire “aree di miglioramento” vengono normalmente implementati test allo scopo.
Qui non vogliamo fare l’ennesimo test, ma proporre una mappa che consenta ad ognuno di farsi da sé un quadro di quelle che probabilmente sono aree in cui persistono dei blocchi che non consentono di dare il meglio di sé, come si vorrebbe.
Cerchiamo prima di definire alcune macro aree per delimitare gli ambiti.



CATEGORIA   FACILE  |  ABBASTANZA FACILE |   UN PO’ DIFFICILE |  MOLTO DIFFICILE
          Livello 1                    Livello 2                    Livello 3              Livello 4


Area del fare/ attività
Inventare una cosa /avere idee nuove
Iniziare una cosa/progetto/attività
Proseguire una cosa/progetto/attività
Terminare una cosa/progetto/attività
Abbandonare un progetto/attività

Area del comunicare / rapporti interpersonali
Parlare e comunicare con gli altri
Confrontarsi con idee differenti
Promuovere il proprio punto di vista / propria opinione
Accettare idee differenti da integrare
Cambiare la propria idea alla luce di altre opinioni

Area della collaborazione
Condividere le informazioni con altri
Comunicare i propri errori
Delegare compiti ad altri
Riconoscere le attività ed i risultati altrui

Area della concentrazione
Concentrarsi sulla propria attività per oltre  due ore consecutive sul lavoro
Distrarsi frequentemente da ciòche si sta facendo sul lavoro
Concentrarsi sulla propria attività per oltre  due ore consecutive sui propri interessi
Distrarsi frequentemente da ciò che si sta facendo sui propri interessi

Area della mobilità
Lavorare fuori dall’ufficio/ girare in auto/mezzi pubblici e propri/viaggiare
Lavorare in ufficio/stabilimento/posto da lavoro/postazione
Uscire di casa/girare in auto/mezzi pubblici e propri/viaggiare
Restare in casa /giardino/cantina/box a fare i miei lavori

Area dell’esposizione personale
Essere il protagonista di iniziative sul lavoro
Essere il protagonista di iniziative con gli amici
Organizzare riunioni sul lavoro/gestire il gruppo
Organizzare riunioni nel tempo libero gestire  gruppi (comitive, volontariato,circoli, squadre, hobbisti)
Aderire alle proposte che vengono fatte sul lavoro
Aderire alle proposte che vengono fatte dagli amici nel tempo libero
Rifiutare le proposte che vengono fatte sul lavoro
Rifiutare le proposte che vengono fatte dagli amici

Queste aree sono indicative delle propensioni/predisposizioni e delle difficoltà/blocchi che una persona può avere nell’affrontare la vita di tutti i giorni nel lavoro o nella vita sociale privata.
A questa mappatura possono essere aggiunte aree più specifiche e personali, come l’atteggiamento di fronte alla vita coniugale e/o familiare o con relazione alle questioni di salute, di denaro ecc.
In quest’ambito e per le finalità del coaching, le  aree indicate in tabella sono già sufficientemente indicative per potersi fare da soli una mappatura dei propri atteggiamenti.
Dal punto di valutazione dell’EDA personal coaching, tutti gli items in cui la risposta è nelle ultime due colonne (un po’ difficile e molto difficile) sono situazioni che indicano la presenza di almeno un NED (Nucleo Emotivo Disturbante) nella struttura mentale della persona.
Per esempio una condizione di livello 4 nell’ultimo item (rifiutare le proposte che vengono fatte dagli amici) indica un NED marcato nella capacità di dire di no, che può essere espresso dal pensiero “non devo deluderli” oppure “non voglio rimanere solo/a” , “non dire di no” o altro ancora.
La tecnica EDA andrà alla ricerca  dell’esatta struttura di pensiero che da’ il comando inerente e lo tratterà con la tecnica standard di deprogrammazione emotiva, portando ad un significativo risultato nel giro di pochi minuti.
Se vorrete provare a verificare come sono i vostri atteggiamenti a fronte delle situazioni prospettate, avrete delle indicazioni su quali sono le aree con i NED più marcati su cui occorrerebbe lavorare.

mercoledì 30 ottobre 2013

IL LAVORÌO DELLA MENTE E IL DUALISMO


Spesso si è sentito parlare della dualità e di come questa non sia cosa “buona”. Tutto l’insegnamento spirituale orientale ed anche occidentale mette in guardia dal dualismo.
Ma cosa si intende per dualismo? Il dualismo, o meglio il pensare in modo dualistico consiste sostanzialmente nel creare categorie, classificazioni su tutto quanto possa esser percepito e pensato. Questa operazione viene fatta dalla mente per poter “pensare” e per poter comunicare attraverso il linguaggio.
Il linguaggio è infatti necessario per poterci intendere sulle cose. Se chiediamo ad un’altra persona: “passami un bicchiere d’acqua”, occorre necessariamente condividere il concetto di bicchiere, il significato sottinteso a “passare” e il concetto “d’acqua”. Questo vale per tutto ciò che comunichiamo.
Fino a qui si potrebbe dire: bene, e cosa c’è in questo che non va?
Il punto è comprendere ciò che ostacola o favorisce il senso di benessere. Ebbene accade che quanto più la mente è “impegnata” tanto meno si apprezzano le esperienze.
Per fare un altro esempio, se quando ci mettiamo a tavola invece di rilassarci e mangiare senza “pensare troppo”, continuiamo a rimuginare sui problemi che ci stanno assillando, è garantito che non ci accorgeremo di quello che stiamo mangiando, percepiremo il gusto in modo distratto ed approssimativo e non godremo appieno della qualità di ciò che stiamo gustando. Questo avviene anche quando ascoltiamo musica, o vediamo la televisione o leggiamo un libro o semplicemente stiamo passeggiando per un parco, presi da altri pensieri. Quello che viene fortemente limitato dal nostro lavorìo mentale è la capacità di godere di quello che stiamo sperimentando. Perché avviene?
Perché stiamo intensamente lavorando con ALTRI elementi invece che essere attenti a quelli che ci sono. Il dualismo è dato dalla nostra scissione interiore: viviamo contemporaneamente su mondi differenti.
Ma la medesima cosa avviene se ad esempio guardiamo un oggetto e invece di osservarlo e basta, lo confrontiamo con il nostro “concetto” dell’oggetto: non riusciremo ad osservarlo come esso è. Ogni qualvolta facciamo considerazioni su ciò che osserviamo invece di osservare, ne perdiamo una parte.
Poniamo di osservare un’automobile nuova. Potremmo osservarla senza pensare se ci piace o no, rimanendo puri osservatori, girando lentamente intorno alla vettura, aprendola per vedere come è stata fatta e così via. Ma se cominciamo ad osservare le varie parti ed a confrontarle con il nostro giudizio estetico, la nostra idea di funzionalità, le nostre concezioni di come deve essere un’auto, avremo la mente occupata ad operare su due immagini (dualismo), quella reale e quella mentale……e così facendo ci perderemo moltissimo piacere consistente nell’ “assorbire” lo spirito con cui la vettura è stata realizzata…la nostra esperienza sarà molto più povera e fredda e alla fine insoddisfacente a causa delle barriere poste dal nostro “valutare”.
Quindi il “pensare” mentre si fa, si percepisce, si mangia, si ascolta, si odora, si vede, riduce di molto la qualità delle percezioni.
Ancor peggio accade se di fronte ad un’esperienza, nella nostra mente si forma un giudizio etico, se cioè ciò che stiamo sperimentando viene da noi classificato come buono o cattivo, giusto o sbagliato. Questo fa sì che tutta l’esperienza venga modificata alterata e perfino stravolta.
Se veniamo invitati ad una festa, ad esempio, e ci facciamo l’idea che essa non ci piacerà, che ci saranno persone che non amiamo e non vogliamo vedere, e così via, quella esperienza non solo non ci darà alcun piacere né felicità ma anzi c’è perfino la possibilità che provochi in noi anche dei traumi, delle sofferenze che potrebbero poi permanere in noi per molto tempo.
Ecco che quindi risulta in tutta la sua evidenza la ragione della critica al dualismo: esiste un mondo che è quello che è, e poi esiste un mondo mentale, che è una rappresentazione personale e distorta di ciò che il mondo è, dove esistono le idee di come le cose dovrebbero essere, vorremmo che fossero e così via.
Tutto ciò che nel reale si distanzierà da ciò che noi vogliamo ci porterà verso l’insoddisfazione. Tutto ciò che nel reale si avvicinerà a ciò che noi vogliamo, creerà attaccamento e dipendenza.
Se invece il reale viene sperimentato per quello che da’ e che è senza desiderarlo nè respingerlo, senza frapporvi la mente, saremo in grado di sentirlo e viverlo con pienezza.

martedì 29 ottobre 2013

IL PENSIERO BARRIERA



Noi sempre pensiamo che pensare sia la più specifica e nobile delle caratteristiche umane. “cogito ergo sum” penso, dunque sono pensava Cartesio…
E così noi su questo concetto, che cioè siamo “di più” perché pensiamo, abbiamo costruito la nostra storia e la nostra civiltà.
E così, come sempre succede quando una cosa diventa consolidata, condivisa, popolare, il nostro pensare è diventato una cosa “indiscutibile”. Ma, e questo va ben compreso, la nostra millenaria conoscenza, costruita nei secoli, mattone dopo mattone nella scienza, nella filosofia, nella politica e nella sociologia, non ci ha portato ad una cosa semplice semplice: la pace e la felicità. Abbiamo auto, case tecnologiche, computers, smartphones, aerei supersonici, esplorazione spaziale, medicina avanzata, chirurgia estetica, robot….ma non abbiamo la felicità.
Perché? Perché tutto il nostro pensare non ha saputo portare la felicità nella vita delle persone?
Semplice. Perché non è il pensare che lo porta.
Ma, oltre a quest’ovvietà, non riusciamo ad andare. Non riusciamo a capire come mai con tutta la nostra intelligenza che è davvero tanta, con tutta la nostra esperienza, che è ormai millenaria, non riusciamo ad uscire dalla sofferenza e dal dolore interiore.
Il punto è che abbiamo eletto, ben prima di Cartesio, il pensiero a nostro vero Dio. Noi concepiamo il pensiero come la cosa più elevata e somma che possediamo e di cui disponiamo. Il trono del pensiero non si tocca, non si discute.
Ma forse dobbiamo cominciare a mettere in discussione questa “verità”.
Quando pensiamo, cosa stiamo facendo in effetti? Stiamo seguendo una serie di frasi che si susseguono una dopo l’altra ed ognuna di queste frasi ha un suo significato, un suo “sema”, cioè si dice che hanno una semantica. Bene. Noi seguiamo una serie di pensieri che hanno una semantica, cioè un significato.
Ma, poiché noi “pensiamo” attraverso il linguaggio, noi consideriamo “vere” tutte le “parole” che pensiamo.
E accade così che se pensiamo che una cosa non va bene, noi “crediamo” che quella cosa non va bene. Non facciamo differenza tra ciò che processiamo con la mente e la verità di quello che processiamo.
Allo stesso modo se processiamo un pensiero che dice che invece quell’altra cosa “va bene” noi la prendiamo per vera e crederemo che quella cosa “va bene”.
In parole semplici: noi crediamo ciecamente a ciò che la mente ci propone.
Accade quindi che se pensiamo che una cosa “va bene”, siamo contenti, se invece pensiamo che una cosa “non va bene” siamo tristi. Ma in effetti siamo noi a decidere cosa mettere nel “va bene” e nel “non va bene”. Ma notate bene che noi potremmo anche decidere che se avviene una cosa potremmo scegliere che indipendentemente da cosa avviene, potremmo metterla nella casella del “va bene” sempre e comunque. Se così facessimo non avremmo la categoria in cui mettere il “non va bene” e saremmo sempre contenti. Così facendo rinunceremmo ad un bel po’ del nostro “pensare”, semplificando di molto il nostro “ragionare”.
Ma potremmo fare anche di più.
Potremmo decidere che possiamo essere felici a prescindere da cosa ci potrà accadere, non posizionando il nostro concetto di felicità dentro alcuna condizione posta a priori.


lunedì 28 ottobre 2013

OCCORRE AVERE CERTEZZE O DUBBI?


Un ambito della speculazione filosofica e psicologica piuttosto dibattuto è: occorre avere certezze o dubbi? Cosa è più utile? Cosa serve?
E’ intuitivo considerare che la certezza aiuta a decidere e a fare, e soprattutto riduce l’ansia, la paura di sbagliare.
D’altra parte il dubbio è il lievito della conoscenza. Nulla sarebbe stato inventato né concepito senza una profonda riflessione. E riflettere è verbo che ha in se la radice del verbo flettere con il rafforzativo “ri”, che indica il ripiegarsi su di sé…che è come dire smettere di agire, fermarsi a pensare, mettere in discussione ciò che si è pensato e fatto fino ad allora.
Ogni rivoluzione scientifica e culturale è passata attraverso la messa in dubbio delle certezze precedenti. Tutti gli innovatori hanno messo in dubbio la validità di ciò che c’era prima. Buddha, Gesù, Galileo, Darwin, Newton, i Curie, Tesla, Einstein e tutti gli innovatori in genere lo hanno fatto.
Quindi cosa occorre fare? Quale atteggiamento si dovrebbe avere?
Tutto nella vita dimostra che il cambiamento è necessario, l’osservazione della vita a tutti i livelli evidenzia che cambiare paradigma e comportamento è la chiave per andare avanti, sopravvivere e prosperare.
Il problema non è quindi se scegliere la certezza o il dubbio, ma in realtà la questione è: come devo rapportarmi alla situazione di dubbio, di cambiamento?
Il vero ostacolo al mettere in discussione le proprie certezze risiede nella REAZIONE che si ha di fronte a ciò. Di fronte ad un cambiamento si può averne paura, rifiutarlo, evitarlo, ignorarlo, contrastarlo, o…. accettarlo. Tutte le reazioni eccetto l’ultima, comportano dolore, perché si tratta di mettersi in dis-tonia con ciò che c’è.
Se invece di fronte all’incertezza che è rappresentata da un cambiamento, incertezza dovuta al fatto che le vecchie risposte e comportamenti non sono più adeguati, non sono più giusti, ci si pone con animo positivo ad accettare i nuovi parametri, ecco che il dolore si trasforma in gioia, entusiasmo, allegria, passione.
Ecco che quindi la capacità di ridefinire, cambiare, perfino cancellare le proprie convinzioni acquisite, è condizione fondamentale per il ben-essere.
Non solo. La capacità di modificare le proprie convinzioni, valori e fedi, stimola l’intelligenza, rende elastica la mente e soprattutto, mantiene lo spirito libero.
Ma come si accolgono idee nuove, nuovi paradigmi, nuovi schemi, nuovi valori, occorre anche mantenere il dubbio che questi nuovi valori possano essere transitori, temporanei ed anche erronei. Se non lo facessimo ritorneremmo nella situazione di rigidità, di immodificabilità precedente.
Ma allora cosa resta di certo?
La nostra capacità di continuare ad esistere ed Essere, al di là delle nostre “convinzioni”. Noi Siamo (e permaniamo) al di là di ciò che pensiamo.


domenica 27 ottobre 2013

ESSERE IN ARMONIA CON SE STESSI





Il processo di meditazione ha uno scopo: acquisire maggiore libertà interiore. Se non ottiene questo non serve a granché.
Ma come si può capire se la meditazione serve a questo scopo? E’ abbastanza facile che mettendosi in una situazione tranquilla, isolati dagli stimoli e ci si mette a concentrarsi sul respiro per trovare la calma, essa si trova. Ci sono pochi dubbi al riguardo. Qualcuno potrà avere qualche difficoltà iniziale ma una volta presa confidenza il controllo del respiro riesce ad indurre calma e concentrazione.
Ma cosa accade quando poi si esce dalla meditazione e si ritorna nel mondo? Nell’ambiente di lavoro, nel traffico, nelle relazioni affettive e familiari?
Si riesce a reagire in modo diverso? A mantenere calma e serenità? A non farsi coinvolgere dallo stress?
Se ci si limita al praticare la meditazione come momento di relax, isolato dal resto della vita, non ci sarà alcuna differenza con il passare un’ora in sauna o in palestra o nel fare una partita a tennis.
Per ottenere davvero dei cambiamenti personali ed esistenziali, occorre che la mente sia resa sgombra e lucida anche nelle situazioni normali.
Ma per ottenere questo è necessario un cambiamento della mente incredibilmente più radicale. E’ necessario che i pensieri subconsci, le reazioni automatiche, le abitudini negative, le ansie e le paure, vengano non solo contenutì e controllatì, ma proprio cancellati dai processi mentali, così che lo stato di calma, di pace e di armonia con se stessi non venga turbato dalle migliaia di stimoli esterni.
Ma per ottenere questo non è sufficiente il controllo del respiro, ma occorre sradicare i pensieri, le forze che fanno invece agitare, impaurire, arrabbiare e così via.
Tali pensieri navigano costantemente sotto la coscienza ed assumono precise forme mentali, precisi pensieri, con precise strutture verbali e correlate emozioni.
Tali forze mentali devono essere identificate e poi trattate fino alla loro cancellazione. Una volta ottenuto questo risultato, il corrispettivo pensiero non opererà più sotto la coscienza obbligando a comportamenti indesiderati, perché esso è stato emozionalmente deprogrammato.

venerdì 25 ottobre 2013

DOVE METTIAMO LA BANDIERINA DELLA FELICITA'

Esiste e non esiste la felicità? Messa così è una questione un po’ difficile da definire. Una cosa possiamo dirla comunque: ci sono persone più felici ed altre meno. Ci sono persone che alla mattina si alzano contente ed allegre, ed altre che invece vivono la giornata come un peso o peggio un incubo.
La cosa rimarchevole è però che le condizioni “reali” di queste persone sono differenti. Ci sono persone che magari hanno casa, reddito, salute, affetti anche, ma sono profondamente infelici, ed altre che mancano di tutte queste cose o almeno di parte di esse, ma sono molto contente e vitali.
Non sono quindi le situazioni oggettive che determinano lo stato d’animo. E’ qualcos’altro. Cosa? “Non abbiamo bisogno di porre di fronte a noi alcun oggetto da raggiungere, credendo che finché non lo raggiungiamo, non saremo felici.”, dice Thich Nhat Hanh.
Cosa è l’infelicità?
E’ non avere quello che si vuole, oppure, avere per forza quello che non si vuole. Queste sono le due condizioni dell’infelicità.
La via per uscirne è duplice. O si cambia la situazione che genera l’insoddisfazione e l’infelicità, arrivando ad una nuova situazione che ci piace, o si smette di desiderare che le cose cambino e si comincia ad essere contenti a prescindere di quale sia la situazione. Semplice no?
No, non è semplice.
Non è semplice perché le cose che desideriamo e quelle che non desideriamo sono costantemente “pensate” ad un livello di pensiero su cui non abbiamo controllo. Questa è la ragione di tutte le difficoltà.
Yoga, meditazione, psicoanalisi, ipnosi, psicoterapia, vacanze, massaggi, svago, cinema, televisione, cibo, sesso, soldi, amori, passioni, chiacchiere, pettegolezzi, politica, beghe familiari….tutto ma proprio tutto ha a che fare con la nostra ricerca di uscire dalla pressione dei pensieri subconsci che ci disturbano….siamo tutti alla ricerca di un’armonia che non riusciamo a trovare ma che ha sede solo dentro di noi, dentro i nostri processi mentali.
Non è un caso che quando una persona riesce a raggiungere un più alto livello di equilibrio comincia ad avere meno bisogno di tutte queste cose….più stabile diventa e meno cose gli necessitano per stare bene.
La via per uscirne è duplice, certo, ma se vogliamo cambiare tutto quello che non va bene quante cose dobbiamo cambiare?
Di quante cose siamo insoddisfatti? Proviamo a farne una lista e ci stupiremmo di quanto è lunga……Dove la mettiamo la bandierina della felicità? Dopo la salute? Dopo l’amore? Dopo la ricchezza? Dopo il lavoro? Dopo la giustizia nel mondo?
Ci rendiamo conto che così non saremo felici mai?
Mettiamola prima la bandierina .... subito, e lavoriamo poi per poterla spostare...ma intanto mettiamola prima.
Ma per poterlo fare occorre cominciare a guardare dentro di noi e non più fuori.


mercoledì 23 ottobre 2013

METTERSI IN DISCUSSIONE

Bisogna saper mettere i propri ragionamenti e le proprie convinzioni in discussione, soprattutto quando si sta male. Questo perchè evidentemente il modo di ragionare che si sta usando non va bene.....e sarebbe auspicabile capire il perchè. Per dare un esempio concreto, ogni persona perseguitata da pensieri deprimenti o negativi, dovrebbe arrivare a rendersi conto che nella sua convinzione di "non poterne uscire" oppure di "non c'è più niente da fare" c'è la causa stessa del problema. Se per assurdo mi ipnotizzassero e sotto ipnosi mi dicessero che "la tua vita è finita" e che "non guarirai mai più", io al risveglio mi troverei con alta probabilità depresso, perchè questi "pensieri" opererebbero costantemente sotto la mia coscienza. Eppure "fattualmente" nella mia vita non sarebbe cambiato nulla. Bisogna diffidare delle conclusioni a cui la mente sembra giungere. La mente, mente.

lunedì 21 ottobre 2013

LA FRETTA E' NEMICA DELLA VELOCITA'

Cosa è la fretta? Lo sappiamo tutti. E’ quella sensazione di urgenza che preme sulla nostra mente che ci dice che siamo in ritardo, che dobbiamo sbrigarci, che non possiamo perdere tempo.
Il problema è che poi invece “questo” modo di pensare ci fa davvero perdere tempo! Perché?
Perché quando cominciamo ad avere questi pensieri, queste “preoccupazioni” cominciamo a rallentare. Oh, certo, non lo facciamo apposta…ma il punto è che ci prende l’ansia e cominciamo a perdere in efficienza e velocità. Più vogliamo fare in fretta e meno ci riusciamo, cronologicamente parlando.
Provate a digitare su una tastiera presi dalla fretta….a meno che non siate un dattilografo provetto, più accelererete più errori farete…..perché il comando che vi sta spingendo ad aumentare il ritmo vi fa perdere la fluidità dell’azione. Provate la stessa cosa con qualsiasi lavoro….e vedrete i pasticci che si combinano.
Cosa accade nella mente? Accade che mentre state facendo quella cosa che state facendo, e la state facendo bene, vi viene in mente: va’ più in fretta! Sbrigati! Dai, accelera!
E questo cosa fa? Introduce un nuovo elemento nella mente, che ora dispone di meno “spazio” mentale per fare ciò che stava facendo….il comando che avete introdotto, invece di aiutarvi vi danneggia.
Questa è la ragione per cui non serve il cosiddetto “pensiero positivo”…ma serve il “non” pensiero….La mente funziona come una ruota….meno cose ci sono….meglio rotola.
Ecco quindi spiegato il monito di Gesù: “smettiamola di pre-occuparci di ciò che non serve al momento pensare.”
Il nostro tempo verrà ben impiegato se non disturberemo la nostra concentrazione con “altro” che non serve….Se pensiamo ad essere in ritardo….stiamo pensando ad altro, se pensiamo che dobbiamo sbrigarci, pensiamo ad altro……
La fretta è nemica della velocità.


GUARIRE - LA DESENSIBILIZZAZIONE

Parliamo un po’ della via alla guarigione sotto il profilo mentale, mettendo tra parentesi l’uso dei farmaci.
Cosa è l’ansia? L’ansia è paura. E questo lo sappiamo tutti, credo.
Da cosa è determinata la pau
ra? Dall’idea che una certa situazione, un evento che può o sta per verificarsi, sia molto pericoloso per noi.
Cosa si intende per pericoloso? E’ considerata pericoloso qualsiasi evento che ci metta in una situazione peggiore di quella che abbiamo al momento. Può essere ammalarsi, ferirsi, perdere una sicurezza affettiva, un rapporto, una cosa che ci da’ conforto (casa, denaro, auto, cibo,aspetto fisico….). Se si va alla radice dell’ansia, la perdita di questi fattori significa una cosa di fondo: paura della morte.
In buona sostanza l’ansia è paura di morte, alla sua base.
La vita che si evoluta nei miliardi di anni, ha messo a punto alcune strategie di base per fronteggiare il pericolo di morte. Anzi, di fondo tutta la vita naturale ha questo obiettivo: evitare la morte. Dalla nascita di molta prole per salvaguardare la specie, alla ricerca di riparo dai predatori, alle strategie difensive e di attacco, tutto indica chela natura si preoccupa sommamente di sopravvivere, almeno come specie singola.
Per potere fare questo ha messo a punto alcuni meccanismi di reazione al pericolo che consistono nel produrre sostanze che diano più stimolo al cuore e forza ai muscoli per poter più rapidamente fuggire o combattere. Per potere portare più zuccheri ed ossigeno ai muscoli per le reazioni biochimiche che producono energia muscolare, il cuore spinge al massimo il battito e il cervello produce adrenalina, il tutto per poter correre, saltare, fuggire, o combattere.
I neurologi e i neuro chirurghi hanno identificato nell’amigdala la parte di cervello che attiva questo meccanismo.
Il problema dell’ansia umana qual’è?
E’ che questo meccanismo si attiva anche quando non è necessario, almeno apparentemente. Noi abbiamo anche una corteccia cerebrale molto sviluppata che pensa migliaia di concetti a velocità istantanea. Diversi di questi concetti non sono nemmeno avvertiti dal “pilota” a bordo che è la consapevolezza, diciamo il nostro io. Avviene quindi che facciamo pensieri che scatenano paura anche mentre stiamo facendo cose che nulla hanno di terrificante. Stiamo magari guidando una macchina o passeggiando nel parco e,sotto la coscienza, una considerazione che facciamo ci terrorizza. Allora avvertiamo tutti i sintomi della messa in allerta visti prima dell’amigdala,e….stiamo male, ma non sappiamo perché.
Quello che accade improvvisamente è che avviene un ragionamento subconscio che porta ad una considerazione allarmante, molto allarmante, e questa va direttamente ad attivare la sensazione di pericolo e l’amigdala.
Esempio: stiamo facendo una pausa pranzo nel lavoro,passeggiando nei giardini….va tutto bene, ma oggi abbiamo letto che la società internazionale che controlla la nostra società ha avuto un bilancio negativo. Noi però stiamo pensando a ben altro, alla nostra famiglia a cosa faremo tornati a casa o a cosa dobbiamo fare sul lavoro…………..ma il subconscio pensa a tutt’altro e pensa che ora taglieranno gli investimenti e questo farà chiudere qualche filiale e che nel nostro settore geografico la filiale più importante é quella del paese confinante ed è probabile che taglino la nostra e che quindi ci licenzino e che perderemo lo stipendio e non potremo più mantenere i figli e dovremo svendere la casa e finiremo sul lastrico..e……PAURAAAAA!!!!
Sopra, nella nostra coscienza stiamo pensando:stasera usciamo tutti e andiamo a mangiare la pizza…..ma ad un certo punto avvertiamo tremore alle gambe, mancanza di fiato, e la immancabile tachicardia. La paura ci ha raggiunto e non sappiamo perché.
Da quel momento avremo una forte paura che “quella cosa” possa tornare. E può benissimo accadere che associamo quello che abbiamo visto in quei momenti, quello del primo episodio, alla “causa” della paura e ci convinciamo che i giardini all’aperto ci spaventino, ma è un’impressione falsa,meglio una deduzione falsa. Allora cominciamo ad evitare tutti gli ambienti le situazioni che “ricordano” quel primo attacco e a temere che possa ancora accadere….siamo entrati in un circolo vizioso. Ogni cosa/situazione/persona/rapporto diventa potenzialmente in grado di riprodurre quella paura.
Come se ne esce?
C’è un solo modo: la desensibilizzazione.
Significa che ad una situazione occorre abituarsi. Come quando si impara ad andare in bicicletta, o a guidare una macchina,all’inizio si può avere paura di farlo, perché NON SI SA COME SI FA. E si pensa al pericolo di fare una cosa su cui NON SI HA IL CONTROLLO.
Ma quando lo si fa e lo si fa ancora e ancora e ancora, allora si SA che c’è il controllo, un controllo totale e globale….e l’amigdala si spegne, e ci lascia vivere.

martedì 8 ottobre 2013

PSICOTERAPIE BREVI E LUNGHE

Mi viene spessa avanzata da chi viene in contatto iniziale con i principi di funzionamento di EDA, l’obiezione di fondo che non sia possibile risolvere i problemi della mente in poco tempo o peggio in pochi minuti. La convinzione generale è che occorrano lunghissimi e pluriennali rapporti con psicoterapeuti e psicologi per poter “sviscerare”  adeguatamente e portare alla luce conflitti e blocchi che la persona ha sviluppato negli anni e poterli poi risolvere. Terapie di anni ed anni.

L’ho creduto anch’io per molto tempo fino a quando l’evidenza mi ha dimostrato una realtà differente.

Una considerazione preliminare andrebbe fatta. Gran parte delle persone che si ritrovano afflitte da panico ed ansia forte, “esordiscono” con un singolo episodio, generalmente di panico, che piomba apparentemente come un fulmine a ciel sereno. Prima di allora nessun problema. Spesso proprio nessuno.

Questo “esordio”  violento ed inaspettato da’ forza all’idea che sia successo qualcosa a livello biochimico-genetico che abbia causato questo, ma poi, quando si comincia la psicoterapia vengono fuori le ragioni che hanno portato alla crisi. E ci sono sempre. Ma nessuno si domanda mai: ma perché una cosa che si manifesta in mezz’ora rovinando da lì in poi l’esistenza, richiede poi così tanto tempo per essere debellata? Perché non può andarsene come è venuta, rapidamente? Tra l’altro, se la farmacologia è ben concepita, è in grado di far sparire i sintomi nel giro di poco tempo. Perché non può esserci un modo per uscirne rapidamente senza bisogno dei farmaci?

La spiegazione più ovvia è che il “tracollo” sia stato preceduto da un accumulo di pressioni che hanno determinato la “caduta” nel panico, e che quindi il crollo sia solo l’ultimo atto di un processo iniziato da tempo.

Questa spiegazione non da’ però conto del fatto che la mente non è un osso che sopporta certe sollecitazioni e non oltre…..la mente è molto elastica ed immateriale e ciò che una persona considera insopportabile, un’altra la può considerare perfino
divertente. Come può essere che fino ad un attimo prima tutto andava bene e poi
“sbrang” viene giù tutto?

Ciò che succede è altro. Accade una cosa che è improvvisa e violenta: ci si spaventa a morte.

Perché accade? Perché la mente ad un certo punto fa una considerazione, un ragionamento, che la porta ad un punto, ad una conclusione, che da quella situazione non si può più uscire. Una conclusione di assoluta impossibilità.

Le cause scatenanti possono essere diversissime, ma ciò che accade è che la mente inconscia si rende conto, o meglio si auto-convince, di essere entrata in una situazione senza uscita, una trappola. E si spaventa. Poiché questa considerazione è
considerata “vera”, DA QUEL MOMENTO la persona è spaventata, e continuerà a
spaventarsi di essere spaventata. Da quel momento il pericolo sarà visto
ovunque.

Avviene che ciò che ha spaventato la persona originariamente non sia nemmeno più importante….da quel momento è la paura che comanda. Questa paura non è logicamente strutturata, non è composta da un ragionamento complesso ed articolato, ma è composto da “comandi” che la mente subconscia urla ed impone alla mente razionale.

La paura che assale una persona che esce all’aperto non è composta da considerazioni circa il pericolo reale che può esserci nell’uscire di casa. Ogni persona che soffra di questa paura, sa benissimo che non c’è un reale pericolo…non si tratta di attraversare un fiume infestato da coccodrilli affamati, eppure la mente in modo violento e rozzo urla la sua paura. Quello che determina la paura è un comando che ha una struttura semplice, breve e perentoria.

Il punto iniziale del “crollo” che sfocia spesso in un attacco di panico, è come dicevo sopra, dato da una considerazione, un processo di pensiero che porta ad una conclusione “terrorizzante”. Può per esempio essere una malattia di un genitore, un fatto anche poco impattante sul lavoro, una delusione amorosa, ma la mente, nel suo subconscio, pensa che sia successo qualcosa di grave. Questo può anche non
essere affatto vero, ma è vero per la mente in quel momento e….tracolla.
Spesso, quel ragionamento tracollante non sarà più vero dopo un po’ di tempo e
quindi a logica, non dovrebbe più tenere nell’ansia la persona, ma quello che
il tracollo fa e lo fa fin troppo bene, è distruggere la fiducia della persona
nella sua capacità di affrontare la vita. La mente le propina una serie di
“concetti” di paura ed invalidità e come un virus, questo modo di considerare
gli eventi della vita si diffonde a tutto: situazioni, rapporti, persone, cose.

A questo punto una “psicoterapia” che si faccia carico di andare a ristrutturare tutte le aree di sfiducia e paura di una persona diventa per forza di cose di dimensioni
monumentali. La persona in analisi deve dapprima contrastare la sua sfiducia in
sé suffragata da anni di tentativi falliti, con enorme sforzo di volontà, poi
deve affrontare le cose di cui ha preso ad avere paura, una ad una, e  poi deve stabilizzarsi su un nuovo modo di vedere le cose…..


In realtà le cose sono più semplici, grazie a Dio. Le reazioni che la persona ha di fronte alle sue paure, hanno un grande pregio: sono sempre le stesse. La mente ha maturato un certo modo rigido di reagire alle situazioni e usa sempre quelle. E questa è una cosa che facilita molto. In realtà avviene che di fronte a certi stimoli, la mente
“pensa” sempre la stessa cosa, normalmente in modo fobico. La sfiducia che la persona matura sulle proprie capacità non è esistenziale, ma fortemente
vincolata all’osservazione delle sue reazioni di fronte alle sue paure. Ne consegue che se si riesce ad eliminare il meccanismo automatico che scatta di fronte alle situazioni fobiche, CAMBIA radicalmente l’idea che la persona ha di sé. La percezione di sé dipende dall’esperienza negativa accumulata. Cambiando
il modo in cui la persona reagisce alla precedente situazione fobica, cambia
completamente la percezione di sé. In modo quasi istantaneo.

Inversamente la psicoterapia parte dall’assunto che occorra prima cambiare la percezione di sé per poter poi vincere le fobie. Strada possibile ma lunga, troppo lunga. E’ invertita la causa con l’effetto. La causa della disistima è il vivere nella paura. Togli la paura e la stima torna. Subito. Operando quindi DIRETTAMENTE sulle paure, si rialza la fiducia e la stima nelle proprie capacità. Strada breve, molto più breve. 

mercoledì 2 ottobre 2013

RAPPORTI VAMPIRIZZANTI

“Le persone che giudicano continuamente i nostri comportamenti, che ci correggono, che ci danno consigli, che ci fanno vedere i pericoli delle nuove iniziative che stiamo intraprendendo finiscono per indebolirci, per toglierci entusiasmo, per renderci insicuri. Questi sono i vampiri che ci trasferiscono le loro paure e le loro insicurezza sottraendoci energia vitale.” ( R.Morelli)

Questa dichiarazione del famoso psichiatra Morelli, ha in sé una serie di presupposti che mi sento di contestare nel modo più radicale.

Prima di tutto, tutti noi giudichiamo ciò che fanno gli altri. Lo facciamo continuamente. Quando guardiamo la TV, quando parliamo di altri e delle scelte che fanno, quando i nostri amici o familiari fanno o dicono cose che non condividiamo…
Per quanto questo sia vero non ci siamo mai posti o raramente lo facciamo, se il nostro esprimere giudizi sulle scelte e comportamenti altrui sia portatore di danni alle persone che andiamo a consigliare e a tentare di influenzare. Anzi, siamo d’accordo che quello che andiamo a dire e consigliare o criticare sia consigliato, criticato per il “bene” della persona che riceve i nostri messaggi.
Ma questo è tutt’altro che certo. Non sappiamo DAVVERO se ciò che andiamo a dire sarà veramente utile alla persona. E’ solo il nostro punto di vista che vediamo, non quello dell’altro!
Affermare questo non significa che non si debbano più dare consigli o fare critiche, sto solo sostenendo che non possiamo esser sicuri della bontà di ciò che facciamo.
Nell’ottica dell’affermazione di Morelli invece chiunque cerchi di correggere o consigliare è un vampiro energetico che “sottrae” energia vitale.

Non si capisce che idea di rapporto interpersonale possa esserci dietro questa impostazione.

Ogni comunicazione ha lo scopo di influenzare l’altro o gli altri. Se io dico anche solo ad un altro “ che splendida giornata”, creerò un effetto in lui. Potrà convenire con me oppure non convenire, o anche esserne molto infastidito se ad esempio in quella giornata è successa o sta per succedere una cosa a lui sgradita. Magari potrò, senza volerlo, innescare una crisi in lui perché magari lui si sentirà molto giù e la mia frase gli farà constatare che in effetti la giornata è bella ma lui la vede bruttissima….

Allo stesso modo io posso dire ad una persona che sta sbagliando tutto e la persona che riceve il messaggio esserne molto contenta perché sperimenterà di non avere alcun fastidio dalla mia osservazione perché è straconvinto delle sue scelte.

In sostanza invece la frase di Morelli accredita un’idea profondamente sbagliata dei rapporti interpersonali. Il primo errore è nell’idea che gli altri possano condizionare la nostra vita con il solo esprimere consigli e critiche. Se accreditiamo l’idea che qualcuno diventi un vampiro energetico solo perché ci critica, allora abbiamo una personalità molto debole e non crediamo in noi stessi e nelle nostre idee. Il secondo errore ancora più grave è che si accredita l’idea che gli altri siano “il nemico” pronto a farci del male.

In verità ciò che ci vampirizza di energia non è quello che gli altri ci dicono, ma il CREDITO che noi diamo a ciò che gli altri dicono. Il problema è tutto nostro, solo nostro.

Fateci caso, se un parere viene da una persona di cui non abbiamo stima, ciò che ci dice conta poco, se invece il messaggio arriva da qualcuno a cui diamo credito, allora sì che la cosa ci tocca. E perché ciò avviene? Per la semplicissima ragione che riteniamo CREDIBILE ciò che ci ha detto la persona che stimiamo e quindi la nostra vulnerabilità dipende da noi.

E’ su questo che dobbiamo lavorare: sulla capacità di valutare correttamente ciò che ci viene detto e sulla capacità di decidere e vivere in base alle NOSTRE scelte.
Credere che “fuori” ci siano i cattivi che ci succhiano l’energia è al contempo sbagliato ed infantile.
Ed anche in questo caso si conferma una legge universale. Le cose non sono mai OGGETTIVE. Sono sempre solo soggettive. Tutto dipende da come noi reagiamo agli stimoli esterni.


Sergio Davanzo - EDA Personal Coaching


martedì 27 agosto 2013

VOLONTA' E DESIDERIO



Attaccati al volereA. Schopenhauer

Ogni volere ha origine dal bisogno, quindi dalla mancanza, quindi dal dolore. Questo cessa con la soddisfazione, tuttavia… nessun oggetto ottenuto dalla volontà può dare una soddisfazione duratura, immutabile: esso è sempre e solo come l’elemosina che, gettata al mendicante, prolunga oggi la sua vita per rimandare a domani il suo tormento.
Perciò, finché la nostra coscienza è riempita dalla nostra volontà, finché noi cediamo all’impeto dei desideri con il suo continuo sperare e temere, finché siamo soggetti al volere, non avremo mai né felicità né durevole riposo…
Quando, tuttavia, un motivo esterno o uno stato d’animo ci sottrae improvvisamente alla corrente infinita del volere, strappa la conoscenza dal servizio servile della volontà e l’attenzione non è più orientata verso i motivi del volere ma coglie le cose libere dal loro rapporto con la volontà, considerandole semplicemente rappresentazioni e non motivi, allora la pace, che sulla strada del volere è sempre cercata e mai raggiunta, è subentrata ad un tratto e noi stiamo perfettamente bene…
Questo stato è quello che ho descritto come pura contemplazione, fusione nell’intuizione, il perdersi nell’oggetto, oblio di ogni individualità, eliminazione del modo di conoscere conforme al principio di causa che coglie soltanto le relazioni; la singola cosa intuita si innalza all’idea della sua specie e l’individuo conoscente a puro soggetto del conoscere privo di volontà, e così entrambi non stanno più nella corrente del tempo e di tutte le altre relazioni.
E’ allora indifferente assistere al tramonto del sole da una prigione o da un palazzo.
(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, pp 222-223)


 


Qui Schopenhauer con il linguaggio tipico della filosofia ci illustra una verità che è però molto più semplice di quanto non appaia.
Cos’è la volontà? La volontà (qui intesa) è il desiderio di ottenere un risultato. Cosa pensiamo quando “vogliamo” qualcosa? Pensiamo semplicemente “voglio che” oppure “desidero che” o ancora “devo fare questo o quello” . Quello che facciamo è mettere in campo della forza mentale per raggiungere “ciò che vogliamo”.
Per fare questo, ovviamente, la nostra mente si “concentra” su questo obiettivo e si “occupa” di esso. Si tratta in sostanza di un’attività che IMPEGNA la mente.
Ciò che accade quando si è “impegnati” mentalmente, è che il resto che cade sotto i nostri sensi corporei e mentali, non viene più “ascoltato” perché per ascoltare occorre essere in silenzio, prima che verbale, mentale.
Dice Schopenhauer:” Quando, tuttavia, un motivo esterno o uno stato d’animo ci sottrae improvvisamente alla corrente infinita del volere, strappa la conoscenza dal servizio servile della volontà e l’attenzione non è più orientata verso i motivi del volere ma coglie le cose libere dal loro rapporto con la volontà, considerandole semplicemente rappresentazioni e non motivi, allora la pace, che sulla strada del volere è sempre cercata e mai raggiunta, è subentrata ad un tratto e noi stiamo perfettamente bene…”
Cogliere le cose come rappresentazioni e non motivi. Cosa significa? Significa che i motivi hanno una causa, uno scopo…si fa una cosa perché c’è una ragione, un vantaggio, un qualcosa da ottenere o da evitare. Se invece si colgono le cose come rappresentazioni, le si vede per quello che sono, e le si contempla.
Se per fare un esempio comune, guardiamo una partita di calcio da “tifosi” e vogliamo che la nostra squadra vinca, ogni volta che vedremo un’azione della squadra avversaria ben congegnata ed eseguita e che porta pericoli alla nostra squadra, ne soffriremo sensibilmente, così tanto da non riuscire nemmeno a “vedere” la bellezza del gioco avversario, perché è percepito come minaccia. Se invece osserveremo la partita come è rappresentata, privi dell’occhio del tifoso, sapremo osservare le trame di gioco, le capacità dei singoli e l’eleganza della partita in tutta la sua portata, e ne goderemo molto di più, perché non saremo più soggetti ad un motivo per osservarla. E questo vale per tutto.

Ecco che dunque quanto più riusciamo a vivere per cogliere ciò che abbiamo intorno, ad essere ricettivi, e tanto più avremo cose belle da “vedere”, e privi dell’ansia che è sempre collegata ad un desiderio, avremo una vita più ricca, infinitamente più ricca.

Sergio Davanzo - EDA PERSONAL COACHING


domenica 18 agosto 2013

PENSARE POSITIVO E PENSARE NEGATIVO

  Tutti diamo per scontato che nelle vita ci siano cose positive e cose negative, situazioni positive e negative, persone positive e negative.
Diamo ancora più che per scontato, per certo, che esistano emozioni e pensieri negativi e emozioni e pensieri negativi.

Qualcuno dubita di questo? No, vero? Beh, forse non è proprio così. Vediamo di spiegarlo….

Cosa determina che una cosa, un pensiero o una situazione è negativa o positiva? La risposta è solo una: il nostro GIUDIZIO sulla questione.

Se ad esempio desidero andare a fare ferragosto al mare, e per ragioni diverse, vado invece in montagna o rimango a casa, io darò a questo “evento” un giudizio negativo. E quanto più desidererò andare al mare e quanto più il giudizio sarà negativo.

Allo stesso modo se devo far un’operazione chirurgica valuterò questa cosa negativamente. Ovvio, no? Non tanto, perché se ad esempio questa operazione mi risolve un grave problema di salute o magari un fatto estetico, l’idea dell’operazione la vedrò come una cosa addirittura desiderabile.

Fare fatica è una cosa che cerchiamo di evitare, ma molto cercano la fatica nello sport e ne traggono piacere, perché magari fare una partita a calcio, basket o tennis, è visto come un piacere e non stiamo tanto a guardare che temperatura c’è, se sudiamo e ci fanno male le gambe….ma anche questo modo di “vedere” le cose ha a che fare con il giudizio che decidiamo di dare alla cosa….

E se parliamo di paura e panico? Ah, beh, lì le cose cambiano! Sicuri? Proprio sicuri? Perché una persona ha paura degli spazi aperti ed altri invece vanno a fare le escursioni nei deserti, privi di ogni sicurezza ed appoggio, e si divertono pure? Dove sta la differenza?

La differenza è tutta nel giudizio che la persona da’ della situazione. Una persona che ha paura degli spazi aperti da’ un giudizio “negativo” , anzi molto negativo, degli spazi aperti, mentre un amante dell’avventura ne da’ un giudizio diametralmente opposto.

Certo, la persona che soffre degli spazi aperti, NON vorrebbe sentirsi male quando vi si trova, ma non di meno, UNA PARTE della sua mente ODIA gli spazi aperti e ne ha molta, molta paura. Il fatto che questa parte sia fuori dal controllo della persona non cambia la situazione e il fatto: complessivamente quella persona ODIA gli spazi aperti.

Questo ragionamento può esser applicato per ogni pensiero ed ogni situazione…..Tutto dipende dal giudizio che diamo alle cose…

Ma cosa è il giudizio? Cosa è davvero?

Il giudizio è una sola cosa: un sì o un no, semplicemente questo. L’unica cosa che varia all’interno di questa scelta è l’intensità del sì e del no. Ed avviene che quanto più il no sarà forte, tanto più forte sarà la paura e la disperazione, se il fatto giudicato con il “no” si verifica. Allo stesso modo, quanto più il sì sarà forte, tanta più sarà la gioia che si proverà se il fatto si verifica.

Ora osservate questo. Il sì e il no sono solo due concetti, in sé non ci dicono nulla della loro intensità. Solo se il sì lo affianchiamo a qualcosa che desideriamo fortemente, acquista energia “positiva” e allo stesso modo solo se il no lo affianchiamo a qualcosa che temiamo fortemente, acquista energia “negativa”.

Quindi non è il significato delle parole che conta ( cioè se il pensiero rappresenta un sì o un no), ma l’energia EMOZIONALE che esse portano con sé, la quantità di emozione che si portano dentro.

In EDA cerchiamo i pensieri che si sono caricati di energia negativa, perché quei pensieri hanno in sé un forte giudizio negativo sulla cosa che “dicono” e li riportiamo ad emozione zero. Se ad esempio una pensiero dice: “ se esco mi sento male”, all’interno di quella frase, c’è un certo livello di energia emozionale che varia a seconda delle persone. Con le tecniche di EDA, quel livello di emozione, quale che sia, viene azzerato e alla fine del processo il pensiero: “se esco mi sento male” non avrà più alcun livello di energia, e per la persona non rappresenterà più una verità.
Sergio Davanzo - EDA PERSONAL COACHING