giovedì 23 agosto 2012

Volere che la realtà sia diversa da come è, è irrealizzabile


L’unico caso in cui soffriamo è quando crediamo a un pensiero che si oppone a ciò che è. Quando la mente è perfettamente chiara, ciò che è, è ciò che vogliamo. Volere che la realtà sia diversa da quella che è, è come pretendere d’insegnare ad un gatto ad abbaiare. Puoi provare quanto vuoi, ma alla fine il gatto ti guarderà e dirà: “Miao”. Volere che la realtà sia diversa da come è, è irrealizzabile.
Eppure, se ci fai attenzione, ti accorgerai che decine di volte al giorno pensi pensieri come “La gente dovrebbe essere più gentile”, “I bambini dovrebbero comportarsi bene”, “Mio marito (mia moglie) dovrebbe essere d’accordo con me”, “Dovrei essere più magra (o più carina, o avere più successo”). Questi pensieri sono tutti modi per volere che la realtà sia diversa da come è. Se pensi che sia deprimente, hai ragione. Tutto lo stress che proviamo deriva dal contrastare ciò che è.
( Katie Byron )

COMMENTO


Questo semplice ma illuminante brano di Katie Byron illustra una grande verità, e cioè come nasce e si sviluppa la frustrazione e la sofferenza.

La sofferenza è semplicemente data dalla differenza tra ciò che noi in astratto definiamo una situazione ideale, desiderata, e quella che RITENIAMO sia la nostra attuale situazione.
Questo mette la mente in tensione tra ciò che si valuta essere la situazione ORA e quella che si VORREBBE. La sofferenza è TUTTA qui.
Ecco che quando questo avviene si pensa “non voglio che” oppure “vorrei che” o ancora “ se accadesse che” oppure “sarei felice se”…..e così via…
Tutto quello che noi valutiamo come “non realizzato” lo rifiutiamo e lo “leghiamo” ad un’idea di “insoddisfazione”….e ci creiamo la sofferenza.
Non pensiamo mai che potremmo decidere di “essere contenti” anche se la situazione non è l’ideale, pur aspirando ad una nuova situazione….e vincoliamo, senza nemmeno rendercene conto, la nostra felicità ad eventi che potrebbero non verificarsi mai.
Grosso errore.

(EDA Personal Coaching)

IL PERDONO VERSO SE STESSI

Il perdono verso sé stessi ha effetto liberatorio anche su quanto abbiamo fatto nel passato ed è una manifestazione di amore verso sé stessi e verso la propria vita …
(Rafael Echeverría)

COMMENTO


Questa frase si è sentita una montagna di
volte, vero? E allo stesso modo non si riesce bene a comprenderla perché la maggior parte di noi ha in testa che nella vita occorra migliorarsi e per questo non si debba essere troppo indulgenti con se stessi, né per questioni che attengono al proprio privato, né tanto meno per il lavoro. Insomma se si ha un po’ di carattere occorre mantenere un certo livello di comportamento, un certo status…
Se poi avviene che facciamo qualche errore, e magari a ben vedere non è stato nemmeno poi così grande, considerate le condizioni in cui magari abbiamo agito, cominciamo a rimuginare e ad esser scontenti di ciò che abbiamo fatto e per estensione, ad esser scontenti di noi stessi….
Qual è il meccanismo che ci porta a ciò?
La più assurda delle pretese: essere perfetti. E sì, è proprio questo che facciamo quando ci incolpiamo per errori che abbiamo fatto: stiamo “giudicando” noi stessi per l’errore fatto. E cosa altro è questo modo di ragionare se non la convinzione/pretesa di esser perfetti?
Ma questo modo di “pensare” non è molto produttivo, anzi è un vivere decisamente di basso livello….Continuare a fustigarsi per il passato non ci aiuta certo ad essere migliori o a lavorare meglio. Ci toglie anzi energia e concentrazione.
Come uscirne?
Eh, perdonandosi ovviamente, ma per farlo occorre giungere ad una verità scomoda per l’ego: non siamo infallibili. Non siamo quello che pensavamo di essere.

Ma se ci mettiamo a ragionare così la nostra autostima crolla no?


E perché devi avere autostima? Per continuare a pensare di essere perfetto? La “stima” lo dice la parola stessa, si basa su una valutazione, su un giudizio che viene formulato in base a criteri…E allora non se ne esce.

Diversamente vanno le cose se ci si ama. Ma se ci si ama, lo si fa anche se non si è perfetti, anche se si sbaglia….altrimenti smetteremmo di amarci quasi subito.
Perdonarsi significa amarsi, ma anche e soprattutto ammettere i propri limiti. Se si fa questo la pace, l’equilibrio, la concentrazione, la voglia di fare, l’entusiasmo, ritornano.

lunedì 13 agosto 2012

IL GIUDIZIO DEGLI ALTRI

Aver bisogno di essere approvati è come dire: “Val più il tuo concetto su di me dell’opinione che ho di me stesso”
Wayne W. Dyer

COMMENTO

Una delle cose che principalmente causano sofferenza, irritazione, aggressività, senso di inadeguatezza e che in definitiva riducono di molto le capacità e la sicurezza delle persone, è rappresentata dalla temutissima opinione del prossimo.
La massima di Dyer è quanto mai azzeccata. E’ questo che di fatto facciamo sempre quando ci preoccupiamo troppo delle opinioni altrui. Consideriamo l’opinione degli altri come più importante della nostra.
Questo può originare dalle modalità comportamentali dell’infanzia dove il potere risiedeva nelle figure genitoriali e/o assimilabili come maestri, insegnanti, allenatori e professori, ma che non ha più senso nel mondo degli adulti.
Gli “altri” sono peraltro un’entità alquanto indefinita che comprende persone diverse con idee magari opposte. E’ ovvio che non si può piacere a tutti. Si dovrebbe essere tutto e il contrario di tutto ed infine per piacere agli altri si finirebbe per non piacere a se stessi, che in definitiva è la persona con cui siamo più a contatto.
Nel nostro coaching quando abbiamo a che fare con questa “presenza” ingombrante che è la paura del giudizio degli altri, cerchiamo di individuare il relativo pensiero/concetto che ha sempre o quasi sempre radice nell’infanzia e nelle raccomandazioni e minacce dei genitori, relativamente al “buon comportamento”, e lo trattiamo.
Il senso di liberazione che ne risulta è a volte in grado di cambiare un’intera prospettiva esistenziale.
(EDA Personal Coaching)

SIAMO IL NOSTRO CARNEFICE

[...] Immaginando un dolore che presumi falsamente provenire dagli altri, paragonando ciò che è a ciò che dovrebbe essere, ti stai torturando. Non smettiamo mai di produrre immagini, pensieri, emozioni fanno soffrire. Siamo il nostro carnefice, il nostro carceriere, per di più illusionisti e bugiardi. I muri e gli strumenti di questa stanza di tortura personale che a volte è la nostra mente non sono che pensieri, ricordi, timori, immagini che non corrispondono a niente di attuale, niente di veramente presente qui e ora. (Pierre Lévy)

COMMENTO


La differenza che poniamo nella nostra testa tra quello che riteniamo sia la situazione e quello che vorremmo fosse è causa della insoddisfazione. La differenza tra come riteniamo le persone siano e come vorremmo che fossero è causa della nostra frustrazione.

Lo stato d’animo non dipende da ciò che c’è fuori, ma da ciò che pensiamo dentro. Molto spesso ciò che pensiamo non è affatto correlato a ciò che stiamo vivendo ma è frutto di ciò che nel tempo abbiamo imparato a pensare e non abbiamo più voluto o saputo modificare.
E’ quindi nella nostra mente che si gioca la partita. E se la mente è il campo di gioco, e allo stesso tempo l’avversario da battere, occorre conoscere bene regole, campo ed avversario. Conoscere la propria mente è ineludibile per giocare bene la partita.
(EDA Personal Coaching)

giovedì 9 agosto 2012

PARASSITI EMOZIONALI

[....]
Quando provi un sentimento triste (avidità, speranza, aggressività, paura, invidia, ecc.) non pensare che sia tu ad avere questa emozione. Riconosci invece l'esistenza di un parassita emozionale. Se rimuovi, o se neghi, o se credi, o

se fuggi, o se obbedisci a questo sentimento, il meccanismo dell'assuefazione si mette in moto. La trappola della dipendenza si chiude.
Se tenti di sbarazzarti della sofferenza, questa farà presa salda sulla tua anima. Attenzione! si gioca tutto in una frazione di secondo. Non appena senti la sofferenza (e anche la speranza è una forma sottile e particolarmente virulenta di sofferenza), accoglila, accettala, gustala, osservala in piena coscienza, poi lascia che se ne vada da sé.
[...]

Tratto da Levy, “il fuoco liberatore” di Pierre Levy


COMMENTO DI EDA COACHING


Questo pezzo di Levy, esprime un approccio molto vicino a quello che EDA Coaching propone. Quando si avverte una situazione di disagio nel contesto di una situazione di lavoro o personale, le reazioni che tutti normalmente mettiamo in atto sono sostanzialmente quelle elencate da Levy: si fugge dal disagio, lo si nega, lo si evita o lo si subisce. Tutte queste reazioni non sono però adattive e il disagio si ripresenterà all’occasione successiva. In EDA invece si percorre una strada molto più simile a quella indicata da questo post. Il disagio che si manifesta viene accolto e pienamente accettato, identificato nella sua intima struttura (NED) e poi trattato con la tecnica EDA. Il risultato sarà quello di “depotenziare” il senso di disagio (irritazione, paura, aggressività) e portare il disagio ad essere cancellato. E’ un approccio simile a quello usato nello Judo, dove si tende ad usare la forza dell’avversario per sconfiggerlo.

LE EMOZIONI DURE

Le emozioni dure, i pensieri brutti,
sono ciò che di meglio avete.
Non perdeteli, sono il regalo dell'Universo.
L'unica cosa che potete fare, nel qui-e-ora,
è lasciarli lì e osservarli mentre sono con voi.
(Raffaele Morelli)

COMMENTO

Questa di Morelli è un concetto denso di verità. Apparentemente sembrerebbe che sia masochista…un po’ come quelli che dicono che occorra portare la propria croce…ed invece è una grande verità.

Perché?
Perché come non si ci si può allenare per una competizione senza soffrire e parecchio, così non si può aumentare la propria forza interiore, la propria libertà, la propria felicità, senza affrontare le cose di cui si ha paura e che ci fanno soffrire. Se non le affrontiamo saranno sempre lì a limitare le nostre vite. E’ più che ovvio che meno cose ci sono che ci possano limitare e più sarà pieno e libero il nostro spirito.
Quindi incontrare emozioni”brutte” come dice Morelli, o imparare a portare la propria croce, è una grande occasione per “crescere” e diventare più forti.
Non è necessario per diventare una persona maggiormente sana e felice imporsi chissà quali concetti di grandezza…è sufficiente liberarsi delle paure limitanti e come per incanto, ciò che sembrava impossibile diventa facile.
Togli il dolore e rimarrà solo il meglio.
(EDA Personal Coaching)