mercoledì 14 novembre 2012

LA PROPRIA STATUA INTERIORE

"Non smettere di scolpire la tua propria statua interiore"
Leggiamo un brano di Plotino, grandissimo filosofo greco del III secolo d.C., e poi diremo qualche parola di commento.
"Come si può vedere la bellezza dell'anima buona?
Ritorna in te stesso e guarda: se non ti vedi ancora interiormente bello, fa come lo scultore di una statua che deve diventar bella. Egli toglie, raschia, liscia, ripulisce finché nel marmo appaia la bella immagine: come lui, leva tu il superfluo, raddrizza ciò che è obliquo, purifica ciò che è fosco e rendilo brillante e non smettere di scolpire la tua propria statua interiore, finché non ti si manifesti lo splendore divino della virtù e non veda la temperanza sedere su un trono sacro.
... Se tu sei diventato completamente una luce vera, non una luce di grandezza o di forma misurabile che può diminuire o aumentare indefinitamente, ma una luce del tutto senza misura, perché superiore a ogni misura e a ogni qualità; se ti vedi in questo modo, tu sei diventato ormai una potenza veggente e puoi confidare in te stesso. Anche rimanendo quaggiù tu sei salito né più hai bisogno di chi ti guidi; fissa lo sguardo e guarda: questo soltanto è l'occhio che vede la grande bellezza.
Ma se tu vieni a contemplare lordo di cattiveria e non ancora purificato oppure debole, per la tua poca forza non puoi guardare gli oggetti assai brillanti e non vedi nulla, anche se ti sia posto innanzi un oggetto che può essere veduto. È necessario, infatti, che l'occhio si faccia uguale e simile all'oggetto per accostarsi a contemplarlo. L'occhio non vedrebbe mai il sole se non fosse già simile al sole, né un'anima vedrebbe il bello se non fosse bella.
Ognuno diventi dunque anzitutto deiforme e bello, se vuole contemplare Dio e la Bellezza" (Enneadi I, 6, 9).
Fonte : http://www.lameditazionecomevia.it/plotino.htm

COMMENTO

Interessante, e molto, questo brano di Plotino. La cosa significativa da evidenziare è l’idea che la bellezza si raggiunga per sottrazione, per asportazione, pulitura.
Il filosofo insiste sul fatto che ciò che è dentro l’uomo è superfluo, ridondante, dannoso. Curiosamente questo approccio è anche quello di tanta spiritualità orientale, buddista ed induista e, a anche se misconosciuto troppo spesso, anche dalla tradizione cristiana.
Ma cosa ancor più originale, è di fatto quello che anche la psicologia analitica riscontra nella sua prassi terapeutica. E’ attraverso lo scrollamento da reazioni dannose, da emozioni negative, dalla liberazione di continue insofferenze verso ciò che incontriamo nella nostra vita, che si giunge all’equilibrio, alla serenità ed infine alla felicità.
E’ dal passaggio dal no al sì che si attua il cambiamento. I troppi no che diamo alla realtà delle cose ci porta in una condizione di insoddisfazione totale, alla nevrosi più acuta, alla rabbia e alla paura. Mentre i sì che riusciamo a dire alla vita ci portano verso la positività, la libertà e la pienezza.
Plotino dice “….Se tu sei diventato completamente una luce vera “ ricordando ancora una volta che le nostre sovrastrutture sono nubi oscure che nascondono la luce…e come uno scultore sottrae “materia” per dare forma alla bellezza e alla perfezione, così noi sottraendo materiale alla nostra mente ego-centrata, creiamo spazio perché la luce si manifesti.
La nostra mente contiene “troppe” cose che danneggiano lo spirito. Siamo chiamati a scolpire.

(EDA PERSONAL COACHING)
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LA GESTIONE DEL TEMPO

La gestione del tempo e la fretta

Non ingombratevi la mente di pensieri inutili. A cosa serve rimuginare sul passato, anticipare il futuro? Dimorate nella semplicità del momento presente.
(Dilgo Khyentse Rinpoche)

Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? 32 Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. (Mt. 6.31-32)

Cosa è la fretta? Lo sappiamo tutti. E’ quella sensazione di urgenza che preme sulla nostra mente che ci dice che siamo in ritardo, che dobbiamo sbrigarci, che non possiamo perdere tempo.
Il problema è che poi invece “questo” modo di pensare ci fa davvero perdere tempo! Perché?
Perché quando cominciamo ad avere questi pensieri, queste “preoccupazioni” cominciamo a rallentare. Oh, certo, non lo facciamo apposta…ma il punto è che ci prende l’ansia e cominciamo a perdere in efficienza e velocità. Più vogliamo fare in fretta e meno ci riusciamo, cronologicamente parlando.
Provate a digitare su una tastiera presi dalla fretta….a meno che non siate un dattilografo provetto, più accelererete più errori farete…..perché il comando che vi sta spingendo ad aumentare il ritmo vi fa perdere la fluidità dell’azione. Provate la stessa cosa con qualsiasi lavoro….e vedrete i pasticci che si combinano.
Cosa accade nella mente? Accade che mentre state facendo quella cosa che state facendo, e la state facendo bene, vi viene in mente: va’ più in fretta! Sbrigati! Dai, accelera!
E questo cosa fa? Introduce un nuovo elemento nella mente, che ora dispone di meno “spazio” mentale per fare ciò che stava facendo….il comando che avete introdotto, invece di aiutarvi vi danneggia.
Questa è la ragione per cui non serve il cosiddetto “pensiero positivo”…ma serve il “non” pensiero….La mente funziona come una ruota….meno cose ci sono….meglio rotola.
Ecco quindi spiegato sia il monito di Dilgo Khyentse Rinpoche che quello di Gesù: smettiamola di pre-occuparci di ciò che non serve al momento pensare.
Il nostro tempo verrà ben impiegato se non disturberemo la nostra concentrazione con “altro” che non serve….Se pensiamo ad essere in ritardo….stiamo pensando ad altro, se pensiamo che dobbiamo sbrigarci, pensiamo ad altro……

La fretta è nemica della velocità.

(EDA Personal Coaching)
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LA CAUSA DELLA FRUSTRAZIONE E DELLA PAURA


"La causa della frustrazione e della paura" (Jiddu Krishnamurti)

"Sia che si cerchi di sopravvivere in quanto individuo o nazione; sia che si vada da un maestro, un guru, un salvatore; sia che si segua una particolare disciplina, o si cerchi qualche altro mezzo per migliorarsi, ognuno di noi non sta forse cercando, nel suo modo più o meno limitato, una qualche forma di soddisfazione, continuità, permanenza? Allora chiediamoci non cosa cerchiamo, ma perché cerchiamo. E domandiamoci se sia possibile per tutte le ricerche arrivare a una fine, non attraverso la costrizione o la frustrazione, o perché abbiamo trovato, ma perché l'esigenza di cercare si è completamente esaurita.
[...] Siccome siamo scontenti e insoddisfatti, ricerchiamo la contentezza, la soddisfazione: fino a che ci sarà questa urgenza di soddisfazione e gratificazione, allora saranno sempre presenti la ricerca e la lotta. L'urgenza di essere appagati è accompagnata sempre dall'ombra della paura, non siete d'accordo?
[...] Il desiderio di realizzare è la causa della frustrazione e della paura, e arriverà a una fine solo quando vedremo chiaramente il significato di appagamento. Divenire ed essere sono due stati enormemente differenti, e non possiamo passare dall'uno all'altro; ma con la fine del divenire, allora l'essere sarà" (da Il silenzio della mente, pp. 168-169).

http://www.lameditazionecomevia.it/causapaura.htm

COMMENTO

Bellissimo brano di Krishnamurti. La ricerca di soddisfazione è appunto…….una ricerca. Dice Krishnamurti “Il desiderio di realizzare è la causa della frustrazione e della paura” e poi ancora più illuminante “Divenire ed essere sono due stati enormemente differenti, e non possiamo passare dall'uno all'altro; ma con la fine del divenire, allora l'essere sarà".
Quello che ci vuole dire che la “tensione” è sofferenza. Solo quando si è “non tesi” cioè, si direbbe in EDA non soggetti a NED, allora l’Essere sarà.
Sembrano concetti molto spirituali ma sono in realtà semplicissimi…Quando fai pensi o lavori, dovresti stare solo su quello che fai , che pensi, o sul lavoro che stai facendo.. Ma se quando fai, pensi: “ lo sto facendo bene?” “riuscirò a farlo?” “sono troppo lento a farlo” ecc, allora resterai in tensione. Se d’altro canto pensi “sarò felice quando l’avrò fatto” “ avrò stima di me quando l’avrò fatto” allora sei nella mani di quello che stai facendo…stai consegnando la tua “essenza” al risultato di ciò che fai….
Tutti questi pensieri non essenziali all’attività sono ciò che causano sofferenza e sono sempre espressione di un bisogno….Ovviamente, meno “bisogni” hai, e più libero sei.
(EDA Personal Coaching)
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EDA E LA STRUTTURA DEL PENSIERO



Il metodo EDA opera sulla struttura del pensiero e del linguaggio che lo esprime.

Come abbiamo più volte sottolineato il pensiero è veicolato dal linguaggio anche quando rimane a livello mentale e non viene espresso.
Possiamo con una certa approssimazione dire che senza un linguaggio non si possa pensare…se non per immagini, suoni e sensazioni, ma il “significato” che diamo a ciò che sperimentiamo, è portato dal linguaggio.
Esiste quindi una diretta connessione, intima, costantemente saldata, tra pensiero e linguaggio.
Come chi ci legge già sa, il metodo EDA (Emotional Deprogrammino Approach) opera per mezzo del linguaggio al fine di modificare le strutture di pensiero e quindi anche per modificare in primis quelle “negative” responsabili degli stati d’animo sgradevoli.
Per fare questo il metodo EDA va alla ricerca di quelli che sono definiti in EDA, NED (Nuclei Emotivi Disturbanti)
I NED sono in buona sostanza ciò che la mente pensa ESATTAMENTE in un certo momento e che da’ esattamente lo stato d’animo corrispondente al pensiero collegato.
La forma dei NED può essere di QUALSIASI tipo e questo ne rende la ricerca l’aspetto più complesso della metodologia.
Avendo il linguaggio un suo preciso significato, ciò che mente pensa lo “realizza” creando le situazioni mentali che quel pensiero esprime.
Se ad esempio una persona sta pensando “ ho un terrore folle di quella cosa”, la saldatura tra pensiero e linguaggio farà realizzare quella cosa, e la persona proverà terrore.
Se una persona, di fronte ad una situazione che appare senza via d’uscita pensa “ non c’è niente da fare, è tutto inutile” creerà la convinzione che la frase esprime e sperimenterà lo stato d’animo relativo: la depressione.
Questo vale per tutti i pensieri-NED che la mente può produrre. E vale ancor di più se tali pensieri operano sotto il livello della coscienza e la persona non li riconosce e non li percepisce.
Il metodo EDA cerca questi NED e li affronta con una metodica abreativa, che consiste nel portare alla coscienza il NED e ripeterlo. Questo fa sì che il NED, dapprima carico dell’emozione che la frase manifesta, sotto l’effetto della abreazione vada a depotenziarsi e scaricarsi di energia, fino a diventare assolutamente innocuo ed ininfluente.
Questo approccio deprogrammativo funziona sempre, sistematicamente, a patto che il NED sia ben individuato e non solo approssimato. L’effetto che la tecnica ripetitiva ha sul NED è risolutivo. Nessun pensiero, anche il più negativo e sconsolante, può mantenere la sua energia sotto l’attacco della abreazione ripetitiva
Ragione per cui è in grado di risollevare ad esempio una persona cronicamente depressa in pochi minuti, sempre che il NED sia individuato correttamente.
Questo appare alla lettura incredibile, ma tale incredulità è dovuta al fatto che non si è mai studiata la mente da questo punto di vista…..Si è sempre pensato che la mente ragionasse per concetti e quindi manipolando i concetti si ottenessero facilmente variazioni nella struttura del pensiero e del comportamento.

Ma non è così.

La mente, parliamo di quella emozionale e non di quella razionale, pensa per emozioni-parole e lega questi due elementi in modo preciso, saldandoli in simbiosi.
Lo sforzo fatto dalla psicologia di operare con la logica, la comprensione dei comportamenti (es: tu reagisci così perché hai avuto un influsso dai tuoi genitori che ti hanno reso difficile prendere decisioni) sperando che il pensiero razionale rielabori il significato e si liberi del comportamento indesiderato, NON funziona, per la semplice ragione che la mente emozionale, anche se informata della causa del suo comportamento, continuerà a “pensare” ogni volta che deve prendere una decisione “non sbagliare!!!” e tale comando (NED) si attiverà indipendentemente dal pensiero dell’altra mente che dice: puoi decidere.
In EDA ci limitiamo ad attaccare il NED che dice “non sbagliare” e lo deprogrammiamo. Dopo di ciò la persona potrà decidere senza impedimenti.

LA DUALITA' E' CREATA DAL LINGUAGGIO


"La dualità è creata dal linguaggio" (Osho)

[...] La dualità è creata dal linguaggio. State camminando, il Buddha dice che esiste solo il camminare. State pensando, il Buddha dice che c'è solo il pensare, non colui che pensa. Il pensatore è creato dal linguaggio. Poiché usiamo un linguaggio basato sul dualismo, ogni cosa viene divisa in dualità.
Mentre pensate, c'è un gruppo di pensieri, bene - ma non c'è colui che pensa. Se veramente desiderate comprenderlo, dovrete meditare profondamente e arrivare a un punto dove il pensare scompare. Nel momento in cui il pensare scompare sarete sorpresi: anche colui che pensa non c'è più. Il pensatore scompare insieme al pensare. Era solo un'apparenza di pensieri in movimento.
State guardando un fiume. Esiste veramente quel fiume oppure è solo un movimento? Se toglieste quel movimento, ci sarebbe ancora il fiume? Una volta tolto il movimento, il fiume scomparirebbe. Non è il fiume che si muove, il fiume non è altro che lo 'scorrere'" (da La disciplina della trascendenza, pp. 297-298).

Fonte. http://www.lameditazionecomevia.it/dualingua.htm

COMMENTO

Si è spesso sentito parlare della dualità e di come questa non sia cosa “buona” . Tutto l’insegnamento spirituale orientale ed anche occidentale mette in guardia dal dualismo. Il problema nasce quando si cerca di definire e far capire cosa sia il dualismo e perché questo non gode di buona reputazione presso guru e maestri spirituali.
Qui noi ci occupiamo di coaching e non desideriamo più dello stretto necessario, entrare nelle questioni filosofico-religiose. In questo caso lo facciamo perché è utile fare chiarezza su questo aspetto.
Il dualismo, o meglio il pensare in modo dualistico consiste sostanzialmente nel creare categorie, classificazioni su tutto quanto possa esser percepito e pensato. Questa operazione viene fatta dalla mente per poter “pensare” e per poter comunicare attraverso il linguaggio.
Il linguaggio è infatti necessario per poterci intendere sulle cose. Se chiediamo ad un’altra persona: “passami un bicchiere d’acqua”, occorre necessariamente condividere il concetto di bicchiere, il significato sottinteso a “passare” e il concetto “d’acqua”. Questo vale per tutto ciò che comunichiamo.

Fino a qui si potrebbe dire: bene, e cosa c’è in questo che non va?

Il punto è comprendere ciò che ostacola o favorisce il senso di benessere. Ebbene accade che quanto più la mente è “impegnata” tanto meno si apprezzano le esperienze.
Per fare un altro esempio, se quando ci mettiamo a tavola invece di rilassarci e mangiare senza “pensare troppo”, continuiamo a rimuginare sui problemi che ci stanno assillando, è garantito che non ci accorgeremo di quello che siamo mangiando, percepiremo il gusto in modo distratto ed approssimativo e non godremo appieno della qualità di ciò che stiamo gustando. Questo avviene anche quando ascoltiamo musica, o vediamo la televisione o leggiamo un libro o semplicemente stiamo passeggiando per un parco, presi da altri pensieri. Quello che viene fortemente limitato dal nostro lavorìo mentale è la capacità di godere di quello che stiamo sperimentando. Perché avviene?

Perché stiamo intensamente lavorando con ALTRI elementi invece che essere attenti a quelli che ci sono. Il dualismo è dato dalla nostra scissione interiore: viviamo contemporaneamente su mondi differenti.
Ma la medesima cosa avviene se ad esempio guardiamo un oggetto e invece di osservarlo e basta, lo confrontiamo con il nostro “concetto” dell’oggetto: non riusciremo ad osservarlo come esso è. Ogni qualvolta facciamo considerazioni su ciò che osserviamo invece di osservare, ne perdiamo una parte.
Poniamo di osservare un’automobile nuova. Potremmo osservarla senza pensare se ci piace o no, rimanendo puri osservatori, girando lentamente intorno alla vettura, aprendola per vedere come è stata fatta e così via. Ma se cominciamo ad osservare le varie parti ed a confrontarle con il nostro giudizio estetico, la nostra idea di funzionalità, le nostre concezioni di come deve essere un’auto, avremo la mente occupata ad operare su due immagini (dualismo), quella reale e quella mentale……e così facendo ci perderemo moltissimo piacere consistente nell’ “assorbire” lo spirito con cui la vettura è stata realizzata…la nostra esperienza sarà molto più povera e fredda e alla fine insoddisfacente a causa delle barriere poste dal nostro “valutare”.
Quindi il “pensare” mentre di fa, si percepisce, si mangia, si ascolta, si odora, si vede, riduce di molto la qualità delle percezioni.
Ancor peggio accade se di fronte ad un’esperienza, nella nostra mente si forma un giudizio etico, se cioè ciò che stiamo sperimentando viene da noi classificato come buono o cattivo, giusto o sbagliato. Questo fa sì che tutta l’esperienza venga modificata alterata e perfino stravolta.
Se veniamo invitati ad una festa, ad esempio, e ci facciamo l’idea che essa non ci piacerà, che ci saranno persone che non amiamo e non vogliamo vedere, e così via, quella esperienza non solo non ci darà alcun piacere né felicità ma anzi c’è perfino la possibilità che provochi in noi anche dei traumi, delle sofferenze che potrebbero poi permanere in noi per molto tempo.

Ecco che quindi risulta in tutta la sua evidenza la ragione della critica al dualismo: esiste un mondo che è quello che è, e poi esiste un mondo mentale, che è una rappresentazione personale e distorta di ciò che il mondo è, dove esistono le idee di come le cose dovrebbero essere, vorremmo che fossero e così via.
Tutto ciò che nel reale si distanzierà da ciò che noi vogliamo ci porterà verso l’insoddisfazione. Tutto ciò che nel reale si avvicinerà a ciò che noi vogliamo, creerà attaccamento e dipendenza.
Se invece il reale viene sperimentato per quello che da’ e che è senza desiderarlo nè respingerlo, senza frapporvi la mente, saremo in grado di sentirlo e viverlo con pienezza.

EDA Personal Coaching

 http://edacoaching.blogspot.it

domenica 7 ottobre 2012

SE ACCETTI IL DOLORE LA SOFFERENZA NON ESISTE


Il dolore è reale, ma la sofferenza emerge solo quando ti opponi al dolore ed è il risultato della tua opposizione al dolore, alla realtà che ostacola i tuoi desideri.
Se accetti il dolore, la sofferenza non esiste.
Il dolore, per l’essere reale, non è intollerabile, perché ha un senso comprensibile che lo placa.
Ciò che risulta insopportabile e’ avere il corpo qui e la mente nel passato o nel futuro, è il desiderio di distorcere la realtà che è inamovibile. Questo sì che è intollerabile, perché è una lotta inutile, come è inutile il suo risultato: la sofferenza.
Non è possibile lottare per ciò che non esiste, non si deve cercare la felicità dove non c’e’,
ne’ prendere per vita ciò che vita non è.
Bisogna svegliarsi! Non appena ci svegliamo… paf! …finisce la sofferenza.

Anthony De Mello - Ti voglio libero come il vento

COMMENTO

Se fossimo contenti di ciò che siamo ed abbiamo saremmo felici. Se invece cominciamo a dire che la nostra situazione “non va bene” o che la realtà “non va bene” ecco che comincia l’insoddisfazione…..si crea una tensione tra il desiderio che abbiamo creato e il realizzarlo. Possiamo anche riuscire a soddisfare il desiderio e raggiungere un certo livello di felicità, ma questo avverrà solo se lo raggiungeremo. Fino ad un secondo prima saremo ansiosi, angosciati, impauriti, adirati, per tutti gli ostacoli che si frappongono o paiono frapporsi tra noi ed il desiderio che abbiamo.
Ad uno sguardo superficiale ci parrà che il raggiungimento del nostro desiderio, del nostro risultato, sia la ragione della nostra felicità, ma non è vero.
La felicità è data dalla caduta di tensione che il raggiungimento provoca. Se abbiamo riportato un’ importante vittoria, la pace non è dovuta alla vittoria, ma al fatto di non aver più la tensione di agguantarla. Certo, nei primi momenti vi sarà l’euforia, quella legata sì al raggiungimento, ma successivamente, passato un po’ di tempo, lo stato di contentezza sarà solo dovuto alla (temporanea) mancanza di desiderio. Ma una mente ed un cuore irrequieto, dopo poco tempo comincerà a cercare un nuovo obiettivo per cui soffrire e lottare, per cui avere ansia e rabbia e ricomincerà la sofferenza per raggiungere il nuovo obiettivo.
Questo modo di procedere è come vivere in tossico dipendenza, senza mai vera pace ed equilibrio. Se non si esce da questa ruota del criceto non si raggiunge mai la felicità, che, lungi dall’essere dovuta a ciò che abbiamo e siamo, dipende solo dalla non contrapposizione di desideri.

(EDA PERSONAL COACHING) http://.edacoaching.blogspot.it/

martedì 25 settembre 2012

LA NATURA DELLA MENTE


La natura della mente è pura, è luce chiara, non mischiata con l’ignoranza. Anche se abbiamo ignoranza, la nostra mente non è mischiata con essa. Anche se abbiamo attaccamento e collera, la nostra mente non è un tutt’uno con l’attaccamento e l’odio. La natura della nostra mente è pura. Il problema consiste nel fatto che oscuriamo questa natura pura seguendo le tendenze egoiste e le concezioni errate. Queste inquinano la mente, impediscono di svilupparne il pieno potenziale e interferiscono con il suo risveglio. Le concezioni errate bloccano lo sviluppo della nostra possibilità mentale di avere, noi stessi, una continua felicità temporale e definitiva, e soprattutto ci impediscono di essere causa della felicità temporale e definitiva degli esseri senzienti. (Tratto da "Comprendere la mente" di Lama Zopa Rinpoche )

COMMENTO

In questo brano si suggerisce un approccio allo studio della mente che rispecchia molto anche l’approccio di EDA. Qui si afferma che la mente è pura. Sembra in contrasto con altre affermazioni autorevoli sulla mente di saggi, monaci, meditatori, guru…
E’ solo una confusione sulle definizioni.
La mente è in effetti molto ampia e articolata in più funzioni e capacità. C’è quindi una mente che è soggetta all’attaccamento, all’odio, alla paura, alla tristezza e alla disperazione anche.
C’è anche però una “mente” che può essere molto equilibrata e razionale, felice e amorevole.
Questa “mente” pura esiste ed è quella che si manifesta quando l’altra mente, quella che da’ problemi, è stata ripulita adeguatamente.
Cosa crea le condizioni per cui noi possiamo essere adirati, impauriti, terrorizzati, angosciati, infelici?
E viceversa cosa crea le condizioni perché noi si sia felici, tranquilli, sereni, positivi?
La risposta è tremendamente semplice.
Tutto ciò che non vogliamo si verifichi crea in noi rabbia, paura e tristezza, in tutte le sue manifestazioni, se si verifica.
Tutto ciò che noi vogliamo si verifichi crea in noi rabbia, paura e tristezza , in tutte le sue manifestazioni, se non si verifica.
Tutto ciò che noi vogliamo si verifichi crea in noi pace, tranquillità, serenità, pace, amore, in tutte le sue manifestazioni se si verifica.
Tutto ciò che non vogliamo si verifichi crea in noi pace, tranquillità, serenità, pace, amore, in tutte le sue manifestazioni se non si verifica.
Quindi tutti i problemi nascono dal raffronto tra ciò vorremmo e ciò che è.
Quando in EDA affrontiamo questo in una persona, andiamo ad individuare quali sono queste aree di tensione tra desiderio e realtà, e lavoriamo per ridurre a zero questa tensione.
E la cosa interessante è che quando si riduce la tensione, la capacità della persona di raggiungere ciò che vuole è enormemente aumentata, perché parte da una situazione di calma e serenità che moltiplica la sua capacità di raggiungere l’obiettivo.
 Meno desideri hai non solo più sei, ma anche più hai.
(EDA Personal Coaching)

LA POTENZA DEL LINGUAGGIO

Ciò che pensi lo pensi con il linguaggio....Ciò che ti limita, ti disturba, lo fa tramite il linguaggio dal subconscio. Se hai un modo per modificare la forza del linguaggio, che è pensiero, hai il modo per modificare il pensiero e quindi il modo di funzionare e di reagire della mente.



[.....]

Lacan introduce invece questa idea importante: che la psicoanalisi è certamente una scienza, ma di tipo completamente diverso, in quanto è una pratica e una teoria che si fonda sul linguaggio. Certo anche per Freud il linguaggio è di estrema importanza, ma Lacan introduce l'idea nuova, rispetto a Freud, secondo la quale «l'inconscio è strutturato come linguaggio»: si tratta di una teoria che Freud non ha mai espresso, ma che in un certo senso è il programma di Lacan ed è diventata ormai lo slogan di ogni lacaniano. Che l’inconscio sia strutturato come un linguaggio può sembrare strano, dato che quando pensiamo all’inconscio freudiano pensiamo piuttosto a qualcosa di affettivo. Di fatto la frase di Lacan è ispirata dalla linguistica strutturale, che proprio in quegli anni emergeva nei paesi latini. Lacan è molto interessato agli studi linguistici e si è rifatto al pensiero di Ferdinand de Saussure, il linguista svizzero considerato il fondatore della linguistica strutturale all’inizio del Novecento. Per comprendere appieno il contributo di Lacan bisogna però andare oltre il riferimento puro e semplice alla linguistica della sua epoca. Uno degli aspetti più originali del suo pensiero, infatti, è di aver messo in luce un fenomeno evidente quanto fondamentale, e cioè che la psicanalisi è un metodo di cura che opera attraverso il linguaggio. [....]


tratto da Jacques Lacan: ritorno a Freud (Sergio Benvenuto)


fonte:http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/psiche/introduzione_lacan.pdf

COMMENTO DI EDA PERSONAL COACHING

Questa intuizione di Lacan è pienamente condivisa da EDA Personal Coaching. La tecnica EDA si base infatti su un assunto di base: ogni pensiero è strutturato dal linguaggio. Non si può veramente "pensare" senza un linguaggio. Ed è quindi attraverso il linguaggio che si sedimentano nelle mente i concetti, i punti di vista, le convinzioni, le idee di ciò che è giusto ed è sbagliato, le nostre preferenze e le nostre idiosincrasie. Le nostre sicurezze e le nostre paure. Tutto è "tradotto" in linguaggio. Il coaching di EDA si focalizza e concentra proprio sull'analisi del linguaggio che viene espresso dal NED da trattare, e attraverso il suo trattamento ne viene risolto il suo contenuto. E tutto questo può essere fatto in autonomia. Per sempre.

EDA COACHING E BUDDHISMO

Sembrerà strano mettere a paragone una cosa cosi “seria” ed importante come la filosofia buddhista e una cosa così concretamente legata al mondo dell'azienda e del miglioramento delle performances come il Personal Coaching.
Si potrebbe affermare che non c'è nesso alcuno tra cercare di migliorare le proprie capacità di vendita, di leadership, oppure di relazione interpersonale, e una religione che recita preghiere, che è piena di riti apparentemente vuoti e ripetitivi e corredata da lunghe e stancanti cerimonie.

Nulla di più sbagliato. Sì, è vero. Il Buddhismo ha sviluppato storicamente diverse forme di religiosità popolare, di devozioni e cosi via, ma l'essenza del pensiero buddhista è cosa ben diversa da questa colorita manifestazione popolare.

Il Buddhismo è un approccio alla vita ed alla sofferenza. Si intende qui sofferenza “mentale” cioè quel fondo di insoddisfazione, di incompiutezza che la maggior parte di noi “sente” nel proprio intimo per la maggior parte del tempo che passa su questa terra.
Il Buddhismo si caratterizza per una ricerca profonda, sapiente, analitica, possiamo anche dire psico-analitica, del funzionamento della mente. Mira ad identificare e risolvere tutti quei processi mentali che portano danno. Si intende qui danno, tutte le emozioni negative, quali rabbia, paura, aggressività, angoscia, afflizione, depressione, apatia, impazienza, insoddisfazione, senza di mancanza.
Chi di noi non ha sperimentato almeno qualche volta, qualcuna di queste emozioni?
Il Buddhismo si prefigge un obiettivo ancora più ambizioso: non solo risolvere la sofferenza mentale, ma il raggiungimento della felicità.
Come si può convenire, la distanza che intercorre tra questi obiettivi e la ricerca del miglioramento personale non è poi così rilevante. Di più: è proprio esigua.

Una delle convinzioni più radicate nelle cultura occidentale è che le cose si possano ottenere con lo sforzo e il sacrificio personale. Siamo stati un po' tutti formati all'idea che “facendo” si ottiene, e che più “sforzo” ci si mette, meglio si riesce.
Ma siamo davvero sicuri che sia proprio così? Certo non facendo nulla è difficile che qualcosa arrivi, ma siamo sicuri che lo “sforzo” sia la strada da percorrere?
Il Buddhismo è stato accusato di essere sostanzialmente nichilista e passivo. Non importa quello che fai qui e ora in questa esistenza, ma ciò che conta è che tu ti liberi dagli attaccamenti. Parrebbe quindi essere completamente insensibile a ciò che si può fare qui ed ora, e che ciò che conta sia la “liberazione” dal ciclo delle esistenze e dalla reincarnazione.
Ma non è affatto così. Il Buddhismo si concentra sulla via di uscita dalla sofferenza, dalla “fatica” esistenziale ed insegna a ripulire la mente da tutto ciò che è di ostacolo a tale uscita.

Uno dei detti del buddhismo dice che ci sono solo due giorni in cui non puoi fare nulla: ieri e domani. Ieri è passato e non può più essere modificato. Domani deve ancora venire e quindi non puoi fare ancora nulla. Quando puoi fare qualcosa? Adesso, oggi, qui ed ora. Ed infatti è vero. Solo adesso è il momento per “fare” e per”sentire” e per “vedere”. Non fra cinque minuti e non cinque minuti fa.

Una delle cose più ovvie ma al contempo meno evidenti nel campo delle performances e del cambiamento personale è che tutto ciò che ha a che fare con le difficoltà operative ed emozionali, l'incapacità di dare il massimo delle proprie capacità in ogni momento, è dovuto a due sole cose: o la mente si sta concentrando sul passato per esempio pensando che, quella cosa “non l'ho mai fatta bene”, oppure concentrandosi sul futuro pensando “ e se non ne sono capace?”
Tutti i processi invalidanti del pensiero hanno a che fare con queste due categorie temporali: il passato ed il futuro.
Quando invece si riesce ad essere concentrati sul presente, pensando esclusivamente a quello che si sta facendo, l'ansia e la preoccupazione scompaiono, perché non c'è lo spazio per “pensarle”.
In EDA lavoriamo molto su questo. Ciò che rende meno efficiente un comportamento professionale, più difficile una relazione interpersonale o famigliare, ciò che provoca tensione ed ansia nel momento di un incontro, di una situazione specifica, è sempre un processo di pensiero che riguarda il passato o il futuro e che fa sì che non si riesca a stare concentrati o meglio ancora attenti a ciò che si sta facendo e dicendo in quel momento.
Queste “fughe” all'indietro o in avanti sono oggetto della metodologia analitica dell'EDA e della tecnica susseguente. L'obiettivo è portare la persona via via sempre più nel “qui ed ora” come di prefigge anche l'insegnamento buddhista.
La nostra filosofia operativa è che non sia necessario immettere nelle persone concetti di vittoria e forza, ma che l'assenza di pensieri disturbanti, di processi invalidanti nel subconscio, siano più che sufficienti per permettere i migliori comportamenti. Non occorre quindi immettere nuovi concetti per ottenere il cambiamento, ma occorre invece togliere quelli che sono di ostacolo.

giovedì 13 settembre 2012

IL SOLE PERFETTO

"Quando il sole è velato dalle nuvole, non è scomparso
ma continua a spandere la sua luce e il suo calore.
Se le nuvole si dissipassero o se noi potessimo elevarci
abbastanza in alto nell'atmosfera, constateremmo che il sole
è sempre al suo posto.
Ebbene, in noi spesso si produce un fenomeno identico.
Come il sole, Dio è sempre al suo posto, presente,
immutabile e ci invia la Sua luce (la sua saggezza)
e il Suo calore (il suo amore).
Se però con pensieri e desideri disarmonici,
egoistici e malevoli, permetteremo che in noi si formino delle nuvole,
saremo privati di quella luce e di quel calore.
Allora, invece di lamentarsi che Dio non esiste e che li ha abbandonati,
gli esseri umani devono comprendere che sono gli unici responsabili
di quella situazione e devono cercare di fare tutto per porvi rimedio."
(Omraam Mikhaël Aïvanhov)


COMMENTO

Il sole perfetto è l’analogia della mente chiara e chiarificata. E’ un ottimo paragone…il sole c’è sempre, uguale a se stesso, ma noi lo percepiamo in modi molto differenti…a volte ci scalda a volte no. A volte è in bella vista, a volte sembra non esserci più. Tutto è dato però dalle nuvole e dalla rotazione della terra. Allo stesso modo la nostra mente ha un nucleo, come il sole, sempre perfetto e puro, ma le nuvole dei nostri pensieri, delle nostre paure, delle nostre errate convinzioni, non ci permette di vederlo. La rotazione dei nostri accadimenti ci porta nella notte e poi nel giorno e non riconosciamo che siamo noi che non siamo davanti al nostro sole interiore e non lui che non è davanti a noi.
Ecco perché la via della pienezza risiede nel togliere, nello semplificare, nel sottrarre nubi e tenebre alla nostra mente, affinché il sole risplenda.
E questo compito spetta solo a noi.
(EDA Personal Coaching)

COSA E’ IL PENSIERO?


Tutti pensiamo. Siamo abituati a farlo cosi automaticamente che non ci poniamo mai la domanda: ma cosa è il pensiero?
Potremmo chiederci: beh, non è poi così importante porsi questa domanda, no? Il pensiero c’è e ce lo teniamo…che importa di chiederci cosa esso sia.
Importa invece, perché capire cosa sia il pensiero, significa conoscerlo meglio e conoscerlo meglio significa co
ntrollarlo, imparare a gestirlo, padroneggiarlo.

Tutto ciò che viene pensato “crea” il mondo.

Il pensiero ha prodotto tutto ciò che esiste nella vita dell’uomo, ma non solo, il pensiero da’ forma al nostro vivere sociale, da’ forma a come noi interpretiamo la realtà e struttura quello in cui noi crediamo, quello di cui abbiamo paura, quello che desideriamo, quello che temiamo.
Attraverso la creazione di ciò che pensiamo nasce ciò che preferiamo e ciò che avversiamo, ciò che non amiamo, ciò di cui abbiamo paura.
Attraverso la creazione di queste categorie noi creiamo il nostro più e il nostro meno, la nostra sofferenza e la nostra felicità,.

Sapere cosa è il pensiero è molto importante.

Prima di tutto occorre tenere presente una cosa: il pensiero è essenzialmente linguaggio. Non si può pensare senza una lingua che esprimere il pensare. Quindi si pensa attraverso il linguaggio e grazie al linguaggio. Non è ovviamente necessario che il linguaggio venga verbalizzato…questa fase è dovuta solo alla decisione della persona di fare sentire il proprio pensiero, o, nel caso della scrittura, alla decisione di far conoscere ad altri attraverso un mezzo differente.
Esistono anche altre forme di comunicazione che apparentemente non usano il linguaggio, come la musica, le arti figurative, e anche la matematica. Ma la musica è un linguaggio emozionale e le arti figurative come la pittura, la scultura, la fotografia e il cinema, sono linguaggio visivi, che accedono comunque a significati che hanno in comune con il linguaggio. Questo è così vero che anche per la musica e le arti visive è possibile trasmettere con il linguaggio cosa una musica o un quadro “trasmettono”. Per fare ciò usiamo sempre il linguaggio.

Il linguaggio è dunque lo STRUMENTO del pensiero. Vi è una completa compenetrazione tra pensiero e linguaggio, al punto che uno non può sussistere senza l’altro.Bene. Ma il linguaggio da cosa è “composto”?
Il pensiero può essere composto da “significato”, oppure da significato ed emozione.
Facciamo un esempio: l’automobile ha quattro ruote. Questo pensiero contiene in sé solamente il significato. Dà un’informazione: ci dice che l’automobile ha quattro cose tonde sotto di essa, che servono par farla procedere. In questa affermazione non vi è espressa alcuna emozione. E’ come dire che la sedia serve per sedersi.
Vi è poi un tipo di pensiero che ha al suo interno anche un’emozione.
Esempio: L’automobile è pericolosa.
In questo caso abbiamo dato un attributo all’oggetto automobile definendo un giudizio di valore sull’oggetto stesso. Abbiamo accoppiato ad un concetto puramente semantico, un valore emozionale, affermando che essa è pericolosa.
Perché questa è un’affermazione anche emozionale? Perché alla definizione di “pericolosa” associamo un altro termine che è carico di emozione: morte. Infatti la pericolosità di un oggetto può essere definita solo in base ai danni che essa può arrecare e al cui culmine ultimo vi è la morte.
Il pensiero “emozionale” è composto da due elementi, di fondo. Significato ed emozione.

Ciò che rende il linguaggio così impattante per la psiche è proprio la sua portata emotiva. Se ad esempio dico: “stai attento a ciò che dici perché ti denuncio” oppure dico “ se fai questo ti lascio qui da solo”, esprimo due minacce che ritengo possano spaventare chi le ascolta. Sto cercando di immettere paura in chi ascolta. E’ di tutta evidenza che se invece dico: oggi è martedì e domani sarà mercoledì, non spavento nessuno…
Quindi il pensiero è portatore e creatore di emozioni che possono essere anche distruttive e danneggiare notevolmente chi è oggetto dall’esterno o dall’interno di “pensieri” negativi, invalidanti che vengono “accolti” e considerati veri dalla mente che li recepisce.

La via pertanto per uscire da situazioni insoddisfacenti, da incapacità, o addirittura da sofferenza, è quello di individuare con precisione quali “pensieri” carichi “emozionalmente” stanno disturbando la mente e le capacità di una persona ed affrontarli con costanza fino al loro indebolimento e successiva cancellazione.
Cancellare la carica di emotività insita nel linguaggio, soprattutto l’emotività “negativa” è la strada per dare più libertà alla mente.

giovedì 23 agosto 2012

Volere che la realtà sia diversa da come è, è irrealizzabile


L’unico caso in cui soffriamo è quando crediamo a un pensiero che si oppone a ciò che è. Quando la mente è perfettamente chiara, ciò che è, è ciò che vogliamo. Volere che la realtà sia diversa da quella che è, è come pretendere d’insegnare ad un gatto ad abbaiare. Puoi provare quanto vuoi, ma alla fine il gatto ti guarderà e dirà: “Miao”. Volere che la realtà sia diversa da come è, è irrealizzabile.
Eppure, se ci fai attenzione, ti accorgerai che decine di volte al giorno pensi pensieri come “La gente dovrebbe essere più gentile”, “I bambini dovrebbero comportarsi bene”, “Mio marito (mia moglie) dovrebbe essere d’accordo con me”, “Dovrei essere più magra (o più carina, o avere più successo”). Questi pensieri sono tutti modi per volere che la realtà sia diversa da come è. Se pensi che sia deprimente, hai ragione. Tutto lo stress che proviamo deriva dal contrastare ciò che è.
( Katie Byron )

COMMENTO


Questo semplice ma illuminante brano di Katie Byron illustra una grande verità, e cioè come nasce e si sviluppa la frustrazione e la sofferenza.

La sofferenza è semplicemente data dalla differenza tra ciò che noi in astratto definiamo una situazione ideale, desiderata, e quella che RITENIAMO sia la nostra attuale situazione.
Questo mette la mente in tensione tra ciò che si valuta essere la situazione ORA e quella che si VORREBBE. La sofferenza è TUTTA qui.
Ecco che quando questo avviene si pensa “non voglio che” oppure “vorrei che” o ancora “ se accadesse che” oppure “sarei felice se”…..e così via…
Tutto quello che noi valutiamo come “non realizzato” lo rifiutiamo e lo “leghiamo” ad un’idea di “insoddisfazione”….e ci creiamo la sofferenza.
Non pensiamo mai che potremmo decidere di “essere contenti” anche se la situazione non è l’ideale, pur aspirando ad una nuova situazione….e vincoliamo, senza nemmeno rendercene conto, la nostra felicità ad eventi che potrebbero non verificarsi mai.
Grosso errore.

(EDA Personal Coaching)

IL PERDONO VERSO SE STESSI

Il perdono verso sé stessi ha effetto liberatorio anche su quanto abbiamo fatto nel passato ed è una manifestazione di amore verso sé stessi e verso la propria vita …
(Rafael Echeverría)

COMMENTO


Questa frase si è sentita una montagna di
volte, vero? E allo stesso modo non si riesce bene a comprenderla perché la maggior parte di noi ha in testa che nella vita occorra migliorarsi e per questo non si debba essere troppo indulgenti con se stessi, né per questioni che attengono al proprio privato, né tanto meno per il lavoro. Insomma se si ha un po’ di carattere occorre mantenere un certo livello di comportamento, un certo status…
Se poi avviene che facciamo qualche errore, e magari a ben vedere non è stato nemmeno poi così grande, considerate le condizioni in cui magari abbiamo agito, cominciamo a rimuginare e ad esser scontenti di ciò che abbiamo fatto e per estensione, ad esser scontenti di noi stessi….
Qual è il meccanismo che ci porta a ciò?
La più assurda delle pretese: essere perfetti. E sì, è proprio questo che facciamo quando ci incolpiamo per errori che abbiamo fatto: stiamo “giudicando” noi stessi per l’errore fatto. E cosa altro è questo modo di ragionare se non la convinzione/pretesa di esser perfetti?
Ma questo modo di “pensare” non è molto produttivo, anzi è un vivere decisamente di basso livello….Continuare a fustigarsi per il passato non ci aiuta certo ad essere migliori o a lavorare meglio. Ci toglie anzi energia e concentrazione.
Come uscirne?
Eh, perdonandosi ovviamente, ma per farlo occorre giungere ad una verità scomoda per l’ego: non siamo infallibili. Non siamo quello che pensavamo di essere.

Ma se ci mettiamo a ragionare così la nostra autostima crolla no?


E perché devi avere autostima? Per continuare a pensare di essere perfetto? La “stima” lo dice la parola stessa, si basa su una valutazione, su un giudizio che viene formulato in base a criteri…E allora non se ne esce.

Diversamente vanno le cose se ci si ama. Ma se ci si ama, lo si fa anche se non si è perfetti, anche se si sbaglia….altrimenti smetteremmo di amarci quasi subito.
Perdonarsi significa amarsi, ma anche e soprattutto ammettere i propri limiti. Se si fa questo la pace, l’equilibrio, la concentrazione, la voglia di fare, l’entusiasmo, ritornano.

lunedì 13 agosto 2012

IL GIUDIZIO DEGLI ALTRI

Aver bisogno di essere approvati è come dire: “Val più il tuo concetto su di me dell’opinione che ho di me stesso”
Wayne W. Dyer

COMMENTO

Una delle cose che principalmente causano sofferenza, irritazione, aggressività, senso di inadeguatezza e che in definitiva riducono di molto le capacità e la sicurezza delle persone, è rappresentata dalla temutissima opinione del prossimo.
La massima di Dyer è quanto mai azzeccata. E’ questo che di fatto facciamo sempre quando ci preoccupiamo troppo delle opinioni altrui. Consideriamo l’opinione degli altri come più importante della nostra.
Questo può originare dalle modalità comportamentali dell’infanzia dove il potere risiedeva nelle figure genitoriali e/o assimilabili come maestri, insegnanti, allenatori e professori, ma che non ha più senso nel mondo degli adulti.
Gli “altri” sono peraltro un’entità alquanto indefinita che comprende persone diverse con idee magari opposte. E’ ovvio che non si può piacere a tutti. Si dovrebbe essere tutto e il contrario di tutto ed infine per piacere agli altri si finirebbe per non piacere a se stessi, che in definitiva è la persona con cui siamo più a contatto.
Nel nostro coaching quando abbiamo a che fare con questa “presenza” ingombrante che è la paura del giudizio degli altri, cerchiamo di individuare il relativo pensiero/concetto che ha sempre o quasi sempre radice nell’infanzia e nelle raccomandazioni e minacce dei genitori, relativamente al “buon comportamento”, e lo trattiamo.
Il senso di liberazione che ne risulta è a volte in grado di cambiare un’intera prospettiva esistenziale.
(EDA Personal Coaching)